Covid-19, se ne può capire la gravità con un semplice test
Grazie a un semplice test che misura la presenza nel sangue di cellule “spia” del danno vascolare è possibile individuare in anticipo i pazienti più a rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19.
Lo dimostra uno studio dell'Ospedale Sacco di Milano e dell'Istituto Europeo di Oncologia, i cui risultati preliminari sono stati presentati al convegno digitale Real-Time Monitoring of Endothelial Damage During Covid-19. Why Is It Needed?, organizzato dalla Fondazione Internazionale Menarini.
«Le complicanze vascolari e trombotiche sono una delle cause più importanti della mortalità da Covid, fino ad ora difficilmente prevedibili», commenta Massimo Galli, responsabile Malattie Infettive dell'Ospedale Sacco. Su questo aspetto si è concentrato lo studio, condotto su diciassette pazienti, per esaminare il ruolo delle cellule endoteliali che rivestono le pareti dei vasi sanguigni e del cuore.
Se danneggiate dall'infezione da SARS-CoV-2, le cellule dell'endotelio, infatti, si sfaldano, vengono rilasciate nel sangue e diventano causa di complicanze trombotiche. La buona notizia, però, è che queste Cellule Endoteliali Circolanti (CEC) sono un potenziale nuovo marker della gravità del Covid-19, perché rappresentano una spia del danno vascolare causato dal virus.
«Abbiamo notato come la quantità delle CEC sia legata alla gravità della malattia. Misurarne la presenza grazie a un semplice test del sangue, può dunque costituire un biomarcatore per la scelta di cure in grado di ridurre complicanze fatali», spiega Agostino Riva, infettivologo del Sacco, coordinatore dello studio.
I nuovi dati confermano l'ipotesi che il Covid-19, nelle sue forme gravi, sia una patologia endoteliale ancor più che polmonare. «I danni alla microcircolazione possono indurre trombosi e coagulazione intravascolare. Oltre a fornire una solida spiegazione fisiopatologica delle manifestazioni sistemiche osservate nei pazienti Covid-19, gli effetti sull'endotelio possono guidarci nel disegno di nuove strategie terapeutiche», conclude Gaetano Santulli, dell'Albert Einstein College of Medicine di New York.
(Fonte: ANSA - Foto di copertina: Pixabay)
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