Antonio Randazzo: "Riscoprire il senso di appartenenza a Siracusa, ormai quasi inesistente"

Autore:
Antonio Andolfi
16/10/2021 - 03:29

«Cerco me stesso e racconto. Eterno bambino, ricordo il passato, vivo il presente e progetto il futuro. Non so chi sono e vorrei tanto saperlo».

Antonio è orgoglioso d’essere un siracusano di una generazione già presente dai primi dell’800. Insomma, un siracusano doc. Nasce nell’allora città: Ortigia, in via Gargallo.

«S’abitava in un piano terra, uno stanzone, la cucina, poco più di un corridoio e in una nicchia il gabinetto con accanto il lavabo. In quelle lunghe e insonni notti del 1943, vissi i terribili anni di guerra al suono delle sirene, il sibilo e lo scoppio delle bombe e tra le macerie nella mia strada giocavo negli androni delle case distrutte dalle bombe. Poi, andai apprendista e respirando il profumo del legno imparai con entusiasmo, carpendo i segreti dei maestri. Fu conseguenza frequentare per cinque anni la sezione ebanisteria a scuola per conoscere al meglio le tecniche dell’ebanista. Ma rimanevo amareggiato dalla poca comprensione dei docenti che ironizzando mi dicevano: arruolati nei Carabinieri. Così venne la bocciatura agli esami finali e lasciai la scuola continuando a lavorare da ebanista-restauratore, fino a quando non dovetti andare alla chiamata di leva e scelsi proprio l’Arma. In questo modo iniziai la carriera da allievo arrivando con successo agli esami finali con la promozione a vice brigadiere. Ma ci fu un evento fondamentale, rimastomi per sempre, fu quello del matrimonio con Lucia. È stato il mio grande amore e non mi sono più discostato da lei. Eppure, l’animo dell’artigiano mi rimaneva dentro e forzava nell’uscire. Così riprese quelle tecniche apprese utilizzando materiali di risulta. Iniziai con la restaurazione di mobili antichi, ricostruzione di tavolini, ecc. Fu l’adesione al mio eterno amore che mi portò a realizzare da un tronco di noce il sogno di paternità mai realizzato nella figura di Lucia che abbracciava un bambino. Mi scoprirono per caso degli artisti e vollero invitarmi nel partecipare a mostre. Così si proseguì anche con eventi fuori Siracusa. Oramai la scultura in quella mia passione mi aveva portato a decine di creazioni artistiche. Era un nuovo inizio, una nuova alba con momenti esaltanti e fecondi nella realizzazione di sculture sempre più complesse e sfide per i diversi materiali usati. Volli riscoprire l’amore per la mia città scrivendo versi in vernacolo siracusano. Era una scelta per conservare a futura memoria una lingua in via di estinzione».

Ma le tue preferenze a cosa sono ancorate?

«Al sentirmi cristiano e ai miei principi etici acquisiti da piccolo e mai dimenticati. È ciò che mi porta a denunciare lo sconforto per il degrado politico, etico e sociale di questa mia Siracusa tanto ricca di storia millenaria. È anche per queste cose che m’è sorta l’idea di raccontare l’antica Pentapoli seguendo i disegni e le conoscenze tramandate da archeologi e studiosi. Questo è stato uno stimolante percorso didattico.Volevo far scoprire la conoscenza dei tempi andati tramite i monumenti archeologici realizzati in perfetta scala. Era il far riscoprire a tutti un’altra cosa rispetto a una città massacrata e ridotta a un ammasso di cemento da speculatori, con la complicità della classe dirigente. Poi, ho iniziato, da autodidatta, a crearmi un sito che aggiorno continuamente e nel quale raccolgo collezioni di immagini, documentazione storica e archeologica. Ma il 7 maggio 2014, mentre avevo capito che quella strada era la realizzazione dei miei sogni, mi ha colto l’impatto della morte della mia adorata Lucia».

Cosa ti è successo di fronte a tale disgrazia?

«Sono sprofondato in un periodo di dolore e di rassegnazione. Poi, ho sentito la sua voce che mi incitava a rialzarmi e a realizzare i miei sogni. Ho capito che dovevo reagire per continuare ad esserle fedele e mi sono rialzato sentendomela vicino. Così ho deciso d’aprire un garage e farne diventare il mio laboratorio, la mia sala espositiva e un circolo di incontri, l’ho chiamato Cenacolo della Siracusanità inaugurando lo stesso giorno e mese del mio matrimonio. D’allora hanno preso forma altri lavori suggestivi e creativi. È venuta poi la volta della stampa, in vernacolo siracusano, del libretto Cumeddia Sarausana (I cunti ro nannu) nel quale raccontavo episodi vissuti nella mia fanciullezza fino agli anni ‘60, e la traduzione e stampa dall’originale tedesco, fatta a mie spese anche se l’opera era ritenuta importante agli studiosi, del libro Siracusa. Topografia e storia di una città greca di Hans-Peter Drögemüller. Inoltre, subito dopo nella mia creatività e curiosità decisi di usare la tecnica del QR nell’elaborazione di una mappa turistica di Siracusa completa di tutto ciò che la città è dalle origini ai nostri giorni, con traduzioni in sedici lingue compreso il siciliano, collegata al mio sito divenuto ricco fra immagini e storia, visitato da migliaia di persone dall’Italia come dall’estero».

Un fare creativo incensante, ma oggi Antonio cosa pensa della sua città?

«A questa domanda ti rispondo con una premessa: per me Siracusa vive il più basso livello possibile di qualità etica, politica, sociale, per cui occorrerebbe una soluzione drastica e la prendo dalla storia di questa città. All’epoca il tiranno Dionisio, ritenendo inaffidabile la classe superiore, la cacciò sostituendola con gente straniera. Ecco cosa farei della classe dirigenziale siracusana».

Allora è consequenziale chiederti cosa pensi del futuro di questa città?

«Purtroppo, si vedono tanti modelli negativi e ciò è grave per i giovani, non sono queste le sagome da seguire. Invece, vi sono tante persone che non vengono valorizzate. Per parafrasare, penso a tanti delfini, i modelli positivi, dispersi che non vengono a galla, così si conosce solo la parte peggiore della realtà: gli squali. Credo fermamente che sono di più i delfini e farebbero scappare i pescecani se tutti noi fossimo uniti con un progetto comune mantenendo le nostre specifiche diversità. Isoleremmo i pescecani diventando un faro per le nuove generazioni. Ad esempio, sono tanti i professori che passando dal laboratorio desiderano ritornare con gli studenti, ma vengono bloccati dai loro dirigenti. Questo è dovuto alla mancanza di conoscenza dei loro superiori. L’essere più in vista aprirebbe la strada a tante situazioni positive».

La tua esposizione dove credi starebbe meglio?

«Non la vedo in Ortigia, oramai intasata, dove si prosegue con un turismo commerciale. Secondo me per un turismo consapevole è importante valorizzare altre zone di Siracusa. Ci sono realtà che hanno la loro importanza. Ecco, il venire alla mia mostra, qui in Acradina, spingerebbe a conoscere altri luoghi esistenti come la vicina torre d’avvistamento che aspetta solo il tempo per essere polverizzata, la Tonnara di Santa Panagia, ecc. Ciò sarebbe salutare per tutti, tanti giovani non conoscono quasi nulla».

Originale e attraente il tuo approccio.

«Ti voglio raccontare una storia per spiegarmi meglio: quando lavoravo in bottega c’era una persona che cantava tutte le opere liriche. È così che ho conosciuto quel mondo, non andando a teatro. Per cui conoscere ciò che ti viene raccontato da chi ha vissuto consapevolmente è importante».

È vitale la storia orale?

«Assolutamente, è anche per questo che ritengo inammissibile proporre una tragedia classica collocata in un'altra epoca invece di portare a conoscenza costumi e discorsi d’allora, che poi si contestualizzi, si aprono discussioni riferendosi all’attuale realtà è indispensabile, ma bisogna partire da lì, dalla conoscenza storica. Non facendola per me significa il venir meno dal senso d’appartenenza e vedo che oggi è quasi inesistente».

 

Per saperne di più

www.antoniorandazzo.it

 

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