Autonomia differenziata, una riforma che crea disuguaglianza

Autore:
Federico Bizzini
29/05/2024 - 22:08

La maggiore e più importante delle riforme in cantiere pretese dalla Lega di Matteo Salvini e già votata al Senato dai partiti della maggioranza è quella della Autonomia differenziata, riforma per la quale il governo sta tentando di seguire un iter che eviti il più possibile il transito in Parlamento che avrebbe solo poteri di indirizzo.

L’argomento è importante, peccato che, purtroppo, se ne parli meno di quanto si dovrebbe e spesso in modo vago. Per fortuna, non mancano gli strumenti per fare chiarezza. Tra questi possiamo annoverare l’interessante saggio breve di Gianfranco Viesti, Verso la secessione dei ricchi? - Autonomie regionali e unità nazionale (Laterza, 2019).

Il volume racconta in modo puntuale le origini dell’Autonomia differenziata, le richieste regionali e le loro possibili implicazioni, dimostrando che non siamo di fronte ad una piccola questione amministrativa, che riguarda solo i cittadini di regioni come Veneto e Lombardia, ma di una grande questione politica, che riguarda tutti gli italiani. Del resto la tesi di fondo del libro è che siamo in presenza di una vera e propriasecessione dei ricchi” e cioè delle regioni più floride a tutto danno di quelle meridionali notoriamente più povere, una secessione che può portare alla creazione di cittadini con diritti di cittadinanza di serie A e di serie B in base al luogo in cui si vive.

Quando passerà tale riforma, si realizzerà il vecchio disegno della Lega di Umberto Bossi e cioè di staccare legislativamente il Nord dal Sud con la conseguenza che le regioni meridionali verrebbero lasciate definitivamente al loro destino in una condizione di minorità. Infatti, nella nuova riforma vi sono evidenti disparità ai danni del Mezzogiorno, non solo nei servizi erogati sia a livello centrale che locale, per la semplice ragione che il reddito prodotto al Sud è sensibilmente inferiore rispetto al Nord. Fenomeno che viene accentuato dall’autonomia finanziaria che consente alle regioni di trattenere parte del gettito.

Va qui ricordata la fondamentale Legge Delega 42/2009 sul federalismo fiscale che prevede che il finanziamento delle spese relative ai Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) - cioè i diritti sociali e civili che debbono essere garantiti in tutto il Paese - sia commisurato ai fabbisogni, la cui quantificazione dovrebbe avvenire con riferimento ai costi standard associati alla loro erogazione in condizioni di efficienza ed appropriatezza su tutto il territorio nazionale e non alla spesa storica. Più volte la Corte Costituzionale ha rilevato che questo principio è stato violato con la conseguenza che i divari fra le regioni non sono stati colmati (si tenga presente che le necessità dei comuni del Sud erano notevolmente superiori rispetto alle disponibilità economiche). Ciò nel tempo ha cristallizzato le differenze fra le diverse regioni. Nella sostanza sono stati stabiliti meccanismi che, di fatto, hanno favorito le regioni che già erano in grado di erogare maggiori servizi.

L’Autonomia differenziata peggiorerà di molto la situazione e renderà l’Italia un paese ancor più confuso e diviso, un vero e proprio paese arlecchino. Quando la Destra nel 1975 propose un patto federativo fra le regioni del Nord, Piersanti Mattarella, all’epoca assessore della Regione Siciliana, insorse denunciando l’incostituzionalità del disegno. La pericolosità consiste nella circostanza che i presidenti delle regioni potrebbero decidere quali risorse trattenere a livello locale. Regioni-Stato con competenze amplissime e competenze centrali solo residuali. In pratica nuove regioni a statuto speciale.

L’attuale governo per l’introduzione della riforma ha scelto un percorso che tende a tenere il più possibile all’oscuro l’opinione pubblica e a marginalizzare il Parlamento. Le regioni formulano al governo la richiesta di ampliamento delle loro competenze. L’esecutivo acquisisce il parere dei ministri interessati. Lo schema raggiunto viene sottoposto all’approvazione del governo. Infine, la conferenza delle regioni viene chiamata a confermare e al Parlamento è demandato solo un potere di indirizzo. Null’altro. Quella che storicamente è stata la questione meridionale oggi pare essere diventata la questione settentrionale.

L’amara conclusione è che nel nostro Paese non vi è una vera consapevolezza della gravità della situazione.

 

In copertina: Foto di Stefano Ferrario da Pixabay

 

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