L’assassinio di Walter Tobagi, una tragedia da non dimenticare

Autore:
Federico Bizzini
19/05/2024 - 21:17

È fondamentale non perdere la memoria delle vicende vissute in Italia nei decenni scorsi, vicende che hanno segnato la storia di chi ci ha preceduto e determinato ciò che adesso siamo. Da questa semplice premessa, il nostro pensiero non può che andare ad uno degli episodi più tragici che hanno contrassegnato quelli che, a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e il 1984 (alcuni studiosi concordano invece nel fissare tra il 1981 e il 1982 la conclusione del periodo), furono definiti glianni di piombo”. Una stagione di attentati, morti e violenze in un clima di vero terrore causato dalle azioni dei terroristi di opposte matrici politiche: Brigate Rosse, Prima Linea, NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) e, in ultimo, anche il piccolo gruppo extraparlamentare di estrema sinistra denominato Brigata XXVIII marzo che il 28 maggio 1980 uccise il giornalista Walter Tobagi.

Ed è proprio a Tobagi che è dedicato il libro che ci ha dato lo spunto per scrivere questo articolo: Poter capire, voler spiegare. Walter Tobagi quarant’anni dopo (a cura di Giangiacomo Schiavi - Corriere della Sera, 2020). Il volume, che ci aiuta a ricostruire la storia personale di Tobagi nel contesto di quegli anni, si apre con quattro interventi di natura introduttiva firmati dal curatore Giangiacomo Schiavi, da Ferruccio de Bortoli, da Venanzio Postiglione e da Benedetta Tobagi (nota saggista e figlia di Walter). Segue un’antologia di scritti di Tobagi che sono accompagnati da testi di vari autori che riprendono e attualizzano i temi trattati dal cronista assassinato.

Tobagi scriveva sul Corriere della Sera e ne era una delle firme di punta, un vero e proprio fuoriclasse di grande notorietà ed autorevolezza. Nonostante avesse solo trentatré anni, era paragonabile ai grandi giornalisti del tempo ed era già il segretario dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia. Impegnato anche nel sindacato dei giornalisti, i suoi articoli spiccavano per l’originalità delle tesi che si imponevano all’attenzione del dibattito nazionale. Giovane liceale scriveva di già sul foglio La Zanzara con indagini sulle letture dei giovani del Liceo ClassicoGiuseppe Parini” e sulla condizione dei figli della borghesia milanese. Faceva parte del cenacolo di intellettuali che a Milano frequentava il Cardinale Martini: Tobagi era cattolico praticante, ma molti altri erano agnostici e si trattava del meglio della cultura e del giornalismo italiano (Umberto Eco, Giorgio Bocca, Eugenio Scalfari).

La sua regola era quella di capire la realtà, di osservarla e raccontarla con una grande voglia di dare un contributo per il cambiamento in meglio della società e con una notevole ed innata capacità di indagare e comprendere i mutamenti sociali.

Impegnato nel centro-sinistra, era uno degli intellettuali di spicco della Milano di quel periodo, i cosiddetti “anni di piombo” caratterizzati, come detto, da attentati e omicidi terroristici di matrice eversiva.

Tobagi aveva assunto delle posizioni molto nette e chiare rispetto ai gruppi terroristici presenti a quel tempo. In particolare, alcuni suoi articoli hanno fatto epoca e vengono ancora ricordati: sosteneva, infatti, che i militanti delle Brigate Rossenon sono samurai invincibili”, ma fanno parte di un gruppo rivoluzionario che ostenta una forza superiore a quella realmente posseduta. Sosteneva anche che le BR erano isolate dalla classe operaia, contrariamente ad una delle teorie in voga in quegli anni che, dato che tutti i terroristi latitanti provenivano dal mondo operaio, parlava di “compagni che sbagliano”. Era convinto che i brigatisti colpissero solo i progressisti proprio per il timore che le vittime potessero influenzare in positivo le scelte politiche e istituzionali.

Quotidianamente arrivavano al Corriere della Sera telefonate che preannunciavano l'esecuzione di qualche attentato, ma mai si poteva pensare che si spingessero a colpire Tobagi. Il clima sociale era rovente e si ricordano gli interventi di Luciano Lama, segretario nazionale della CGIL, per mantenere all’interno delle fabbriche un atteggiamento di fermezza contro le spinte destabilizzanti.

Walter Tobagi frequentava il giudice Emilio Alessandrini, anch’egli vittima del terrorismo per il fatto di essere stato uno dei pochi ad aver compreso come e dove intervenire per contrastarle. Alessandrini aveva, difatti, maturato l’idea che le Forze dell’Ordine erano attrezzate per combattere la criminalità comune, ma del tutto inadeguate a fronteggiare il fenomeno del terrorismo, e, fino a che si fosse creato un corpo altamente specializzato, la lotta contro di esso sarebbe stata persa.

Dopo l’uccisione di Alessandrini, avvenuta il 29 gennaio del 1979, Tobagi scriverà che era un giudice di cui fidarsi, un progressista, un riformista, un simbolo.

Il suo motto era: se hai una notizia devi pubblicarla, anche se questo avveniva nel contesto di un acceso e arroventato dibattito sul segreto istruttorio. A tal proposito, un fatto fece scalpore: Il Messaggero in anteprima aveva avuto le confessioni del pentito Patrizio Peci, confessioni che, prematuramente divulgate, consentirono al figlio del ministro Carlo Donat-Cattin, Marco, di espatriare in Francia evitando l'arresto (era uno dei membri delle Brigate XXVIII marzo) con relativo clamoroso scandalo che rimarrà una macchia indelebile sulla figura del padre.

Al Corriere della Sera erano consapevoli del rischio che correva per l'esposizione che comportavano i suoi articoli e cercarono in ogni modo di mandarlo all’estero per la sua incolumità, come corrispondente dalla Cina o altrove, ma Tobagi rifiutò qualsiasi ipotesi di trasferimento. Il pentito Patrizio Peci definirà quelli della Brigata XXVIII marzo come degli utili idioti debosciati come dimostra il fatto che furono tutti facilmente arrestati ad eccezione di Marco Donat-Cattin che si costituirà in seguito.

Intelligente, veloce e di spessore culturale insolito, di simpatie socialiste, Tobagi diceva che il PSI aveva perso il contatto con la base. Aveva scoperto un giovane democristiano dello spessore di Nino Andreatta che poi diverrà un protagonista della vita politica. Nel 1978, inoltre, aveva definito un discorso tenuto a Napoli da Giorgio Napolitano come la Rerum Novarum dei comunisti italiani per il tentativo di rendere il partito più democratico, quello che diventerà il cosiddetto “compromesso storico”.

Ebbe numerosi incontri con i liceali milanesi e ne colse la distanza dal mondo degli adulti. Tobagi descriveva la storia di tante famiglie operaie che vivono con un solo stipendio fra mille difficoltà denunciando, da antesignano, che la mafia era già arrivata a Milano.

Scoppiano le bombe di destra, ma il Paese resiste e non regredisce come vorrebbero i terroristi e le Istituzioni, seppur sotto grave attacco, reggono comunque facendo salve le garanzie e prerogative costituzionali. Il terrorismo ha ucciso persone che rappresentavano l’anima della nostra Nazione. Tobagi venne assassinato all’età di appena trentatré anni e il cardinale Martini nell’omelia del suo funerale scelse di citare il Vangelo di Giovanni 15,25: “Mi hanno odiato senza ragione”.

 

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