La genesi e l’affermazione del fascismo secondo Riccardo Bauer
Riccardo Bauer (1896 - 1982) è stato un importantissimo rappresentante dell’antifascismo italiano, ha presieduto il comitato militare del CNL centrale e dopo la liberazione di Roma, il 4 giugno 1944, fu a capo di quella piazza militare e rappresentò l’ORI (Organizzazione per la Resistenza Italiana), lavorando assiduamente a contatto del maggiore Massimo Salvadori (1908 - 1992)1. Per Salvadori, nel 1955, Riccardo Bauer scrisse la prefazione al suo libro Storia della Resistenza italiana, prefazione che traccia una attenta e lucida analisi storico-politica della genesi e dell’affermazione del fascismo in Italia e che, di seguito, riporto in parte:
«L’Italia fu tra i vincitori della prima conflagrazione mondiale, nel 1918. Paese povero, però, uscì affaticato dall’impresa, e segno del logoramento subito furon disordinate agitazioni sociali, da un canto, una esasperata reazione nazionalistica, dall’altro. Le soluzioni democratiche dei problemi politici e sociali sono le sole realmente e durevolmente costruttive; ma sono anche le più difficili – frutto sempre di pazienza, di intelligenza, di tolleranza: virtù rare. Perciò appunto potettero apparire intollerabili ad un popolo desideroso del miracolo di non pagare i risultati pur raggiunti. Nell’ardore dei contrasti seguiti alla guerra e paralizzanti la ripresa, gli istituti democratici, osteggiati e mal difesi, si infransero e la dittatura fu instaurata e subita. Contro la dittatura operarono forze politicamente e ideologicamente ben qualificate ma esigue. Lo Stato moderno è una macchina troppo potente perché possa il singolo individuo o una minoranza opporvisi con efficacia. D’altronde tutti i problemi della vita economica politica sociale moderna sono troppo vasti e intricati perché l’individuo in quanto tale possa determinarne sostanzialmente le soluzioni: queste son sempre il risultato di una opera corale, dell’intervento, del concorso di forze organizzate massive. Di conseguenza, contro la dittatura che ben presto apparve col suo vero volto quale strumento di corruzione intima incapace di tener fede alle promesse ed agli impegni lusingatori, mero meccanismo di violenza stupida e a tratti bestiale, non vi fu – oltre la resistenza di una minoranza – da parte della grande massa di cittadini che una resistenza passiva, meglio si direbbe una fatalistica attesa; un adeguarsi formale, una supina acquiescenza, spesso doublée di un ostentato servilismo, alla retorica del regime ed alla sua politica pur così pericolosa; un aspettare silenzioso e inerte del maturare di una situazione che ciascuno intuiva di non poter né – per un verso – accelerare, né – sotto altri aspetti – allontanare. E fu uno svolgersi di eventi necessario, che si chiamarono aggressione all’Etiopia, intervento contro la repubblica spagnola, alleanza con la Germania nazista nell’Asse Roma-Berlino, scatenamento della guerra mondiale. Il mondo democratico ebbe il torto di non sapersi schierare tempestivamente contro la dittatura italiana, soffocandone sul nascere le velleità. La tollerò – e talvolta persino se ne compiacque – perché era esso stesso troppo inquinato da correnti illiberali per poter trovare l’energia di un gesto liberatore. Il fallimento pietoso delle famose “sanzioni” rivelò la debolezza di quel mondo, e, in fondo, se non giustificava certo porgeva una spiegazione esauriente della passività contro il fascismo che ci è stata troppo spesso rinfacciata. Il crollo del fascismo è seguito per la sostanziale intima fiacchezza sua, per la sua organica incapacità a risolvere i problemi interni e internazionali, nei quali si trovò coinvolto senza essere sorretto da un reale consenso di popolo, privo di una coerente ideologia consona alla temperie storica in atto, affollato di cialtroni ed arrivisti ignoranti quali solo appunto in una dittatura possono farsi avanti mancando ogni criterio di selezione che non sia quello della corruzione e della piaggeria. […]»2.
Bibliografia:
1) Raimondo Craveri, La Campagna d’Italia e i servizi segreti. La storia dell’ORI (1943-1945), Ed. La Pietra, Milano 1980, pp. 52 e 55.
2) Massimo Salvadori, Storia della Resistenza Italiana, Neri Pozza Editore, Venezia 1955, pp. 9 e 10.
In copertina: Partigiane a Brera - Foto di Valentino Petrelli
Note all’immagine di copertina
Milano, 26 aprile 1945 - Fotografia, probabilmente inscenata, di partigiane nell'atto di riconsegnare le armi agli alleati. L'immagine rappresenta in primo piano tre donne che stanno riportando le armi agli alleati. Il modo in cui tengono in mano le armi suggerisce che non siano esperte combattenti, e che la fotografia sia stata costruita per rappresentare un concetto più che essere uno scatto spontaneo. Una delle ragazze restò uccisa, per errore, proprio da una di quelle armi. Qualche anno più tardi l'uomo con il cappotto sulla destra chiese a Publifoto, agenzia per la quale Petrelli lavorava, di essere rimosso dalla foto.(Fonte: Wikipedia)
La storia di questa immagine – scattata da Tino Petrelli, famosissima, e in parte anch’essa “ricostruita” – è tragica: una delle giovani ritratte nella foto, Aniuska (al centro), giunta dalla Polonia con la sorella, ricevette il fucile da alcuni partigiani. Ore dopo lo scatto, a causa di un errore, venne uccisa dalla sorella, che a sua volta aveva ricevuto un’arma.
L’uomo che nell’originale compare a destra delle ragazze si fece poi cancellare dal negativo perché, disse, quell’arma l’aveva presa tra le mani solo dietro la richiesta del fotografo.
(Fonte: Corriere della Sera)
L’immagine è stata usata da Neri Pozza per la nuova edizione, uscita nel 2016, del libro di Salvadori.
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Autore
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Santi Maria Randazzo vive a Motta Santa Anastasia. Nel 1975 si è laureato in Pedagogia presso l’Istituto Universitario di Magistero di Catania con una tesi sulla delinquenza minorile.
Dopo avere svolto per tre anni attività di assistente volontario presso la Cattedra di Teoria e Storia della Didattica presso l’Istituto Universitario di Magistero di Catania, l’Amministrazione Provinciale di Catania gli ha conferito l’incarico di svolgere una indagine sulla devianza giovanile. Dal 1978 ha lavorato presso i Servizi Sociali del Comune di Catania, prima con il ruolo di Assistente Sociale, poi con quello di Funzionario-Coordinatore di Centro Sociale. Su incarico del Comune di Catania ha collaborato con la Procura per i Minorenni presso il Tribunale per i Minorenni di Catania e con il Provveditorato agli Studi di Catania. Per diversi anni ha fatto parte del Comitato Provinciale per la Prevenzione delle Tossicodipendenze, del Consiglio Scolastico Provinciale e dell’Osservatorio Permanente sulle Problematiche dell’Età Minorile istituito presso l’ex Provveditorato agli Studi di Catania e per conto dello stesso Organismo ha svolto indagini sul lavoro nero minorile in Provincia di Catania.
In passato ha ricoperto ruoli dirigenziali in ambito associativo, sindacale e politico, è stato capo delegazione CGIL-CISL-UIL al Comune di Catania. È stato corrispondente da Motta per il giornale La Sicilia. Da quando è andato in pensione, si dedica con passione allo studio della storia della Sicilia, trascorrendo gran parte del suo tempo presso le più importanti biblioteche dell’Isola. Ha pubblicato due libri in digitale, Motta Santa Anastasia nell’antichità: uno degli ultimi misteri della storia siciliana (2012) e Storia di Motta Santa Anastasia. Dalle antiche origini fino alla prima metà del XV secolo (2013), e per Algra Editore il volume Il ritorno degli Aragonesi in Sicilia (2019). Ha collaborato con diverse riviste: ArcheoMedia, Agorà, Incontri, Sicilia Report, Sikelian e MetroCT. Ama lo sport ed in passato ha praticato rugby e atletica leggera.