Mescoliamo la Biodiversità
La diversità biologica (o biodiversità) è fondamentale per la vita sulla Terra, ma anche per l’agricoltura e la produzione alimentare.
Abbiamo sempre più chiaro come la biodiversità contribuisca in maniera decisiva alla vita del nostro mondo, attraverso milioni di geni che servono a comporre la struttura vivente, migliaia di piante e animali che popolano il Pianeta e innumerevoli organismi che costituiscono gli ecosistemi naturali.
In tal senso la materia vivente rappresenta un complesso intreccio interdipendente di nascite, morti e rinnovamento. Gli esseri umani sono soltanto una piccola parte di questo vibrante mosaico, ma esercitano un forte impatto sulle specie e sull’ambiente. Sono quindi a rischio un gran numero di piante e di animali, insieme a fondamentali processi della natura come l’impollinazione degli insetti e la rigenerazione del suolo attraverso i microrganismi.
Inoltre, per nutrire una popolazione in aumento, occorre dare un impulso all’agricoltura per incrementare la produzione alimentare. Sarà inoltre essenziale un’agricoltura più flessibile, conservando un’ampia varietà di forme di vita con caratteristiche particolari, come alberi che sopravvivono alle siccità o bestiame che si riproduce in situazioni critiche. Tecniche agricole sostenibili possono nutrire la popolazione e contemporaneamente proteggere oceani, foreste, praterie e altri ecosistemi che ospitano le diversità biologiche.
Consideriamo, altresì, che la produttività primaria di un ecosistema (che sia naturale o agricolo) è una funzione diretta dell’indice di biodiversità di un ecosistema, sia artificiale (agrario) che naturale.
Sistemi maggiormente biodiversi hanno una produttività maggiore, cosa che equivale a dire: migliore efficienza fotosintetica complessiva e, quindi, maggiore produzione di biomassa. Ovviamente nei sistemi agrari questa produzione di biomassa va finalizzata alla produzione di alimenti, carburanti, fibre e farmaci nonché alla gestione degli agrosistemi.
A tal proposito sono molteplici le ricerche che stanno valutando questo fattore. Tra queste uno studio dal titolo Agricultural diversification promotes multiple ecosystem services without compromising yield, è stata pubblicata sulla Rivista dell’American Association for the Advancement of Science (AAAS).
Si tratta di uno studio notevole che ha analizzato i risultati di 5.188 ricerche separate che comprendevano 41.946 confronti tra le pratiche agricole diversificate e quelle semplificate.
L’obiettivo è stato, ovviamente, quello di verificare, attraverso la comparazione di queste ricerche, se la diversificazione delle colture fosse vantaggiosa sia per la produzione agricola che per i servizi ecosistemici.
I risultati non si sono fatti attendere e sono stati confermati, altresì, dalle dichiarazioni di Giovanni Tamburini, ricercatore dell’Università di Bari e dell’Università di Scienze Agrarie di Uppsala (Svezia) e principale autore dello Studio: «La tendenza attuale è la semplificazione dei principali sistemi colturali in tutto il mondo. Coltiviamo monocolture su campi che si distendono su paesaggi omogeneizzati. I risultati del nostro studio indicano che la diversificazione può invertire gli impatti negativi che osserviamo nelle forme semplificate di coltivazione sia sull’ambiente che sulla stessa produzione» (Tamburini G. et Al. 2020).
Lo studio in oggetto si è soffermato sul confronto di produzione e fornitura di diversi servizi ecosistemici tra agricoltura convenzionale e diversificata, con riferimento a sistemi di colture erbacee di pieno campo. La ricerca si è concentrata non solo su quanta produzione agricola derivi dai due tipi di agricoltura, ma anche sulle differenze in termini di impollinazione, fertilità del suolo, controllo biologico degli insetti dannosi e altri servizi ecosistemici.
Dalla comparazione dei dati è emerso che, nel 63% dei casi, i sistemi diversificati, che sono tra i fondamenti dell’agroecologia, riescono contemporaneamente ad aumentare la produzione e migliorare la fornitura di più servizi ecosistemici rispetto ai corrispondenti sistemi convenzionali.
Tralasciando di citare, come detto, le molteplici ricerche a livello mondiale appare evidente come sia necessario cambiare, proprio nei concetti di base, i sistemi produttivi agricoli attuali, progettati e costruiti spesso solo in funzione di ipotetici mercati e non relazionati a fattori ecologici, di efficienza dei sistemi produttivi e di esigenze alimentari o di altri servizi delle comunità limitrofe alle aziende agricole.
Gli attuali modelli produttivi non solo sono meno efficienti rispetto a sistemi biodiversi (contrariamente a quanti asseriscono che per sfamare il mondo bisogna spingere su specializzazioni e sistemi monocolturali), ma hanno intaccato pesantemente gli ecosistemi (agrarie naturali) con una conseguente perdita di biodiversità che preoccupa notevolmente.
Infatti, secondo quanto evidenziato dal Rapporto Globale sullo Stato della Biodiversità, della FAO del 2019 (Roma, 22 febbraio 2019), esistono preoccupanti prove che la biodiversità, che sta alla base dei nostri sistemi alimentari, sta scomparendo, mettendo a rischio il futuro dei nostri alimenti, dei mezzi di sussistenza, della salute umana e dell’ambiente.
Il Rapporto denuncia che una volta perduta la biodiversità alimentare e agricola – vale a dire gran parte delle specie che supportano i nostri sistemi alimentari – questa non può essere recuperata.
Ricordiamo, a tal proposito, che con il concetto di biodiversità per il cibo e l’agricoltura s’intendono tutte le piante e gli animali – selvatici e domestici – che forniscono cibo, mangimi, carburante e fibre. A questo bisogna aggiungere la miriade di organismi che sostengono la produzione di cibo attraverso i servizi ecosistemici – chiamati “biodiversità associata”. Questo include tutte le piante, gli animali e i microrganismi (insetti, pipistrelli, uccelli, mangrovie, coralli, piante marine, lombrichi, funghi, batteri, ecc.) che mantengono i terreni fertili, impollinano le piante, purificano l’acqua e l’aria, mantengono le risorse ittiche e forestali in buona salute, e aiutano a combattere i parassiti e le malattie delle coltivazioni e del bestiame.
Il rapporto redatto dalla FAO, sotto la guida della Commissione sulle risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, esamina tutti questi elementi e si è basato sulle informazioni fornite specificamente da 91 paesi e sull’analisi degli ultimi dati globali.
Il rapporto denuncia una riduzione della diversità delle coltivazioni, il maggiore numero di razze di animali a rischio d’estinzione e l’aumento della percentuale di stock ittici sovrasfruttati.
Da sottolineare come il rapporto si soffermi poi sulla biodiversità agricola e sulle conseguenze nutrizionali delle nostre diete alimentari. È emerso, infatti, che delle 6.000 specie vegetali coltivate sul Pianeta, meno di 200 contribuiscono alla stragrande maggioranza del cibo prodotto e, di queste, «solo nove vengono utilizzate per il 66% della produzione totale». Per quanto riguarda le specie animali, su 7.745 razze di bestiame conosciute, il 26% è a rischio estinzione.
E ancora, più della metà delle risorse ittiche di tutti gli ecosistemi marini nel mondo vive già una condizione vicina alla non sostenibilità (ovvero non viene assicurato il tasso di riproduzione delle specie), con circa il 33% delle specie marine che risultano sovrasfruttate.
La FAO, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, che attraverso il rapporto The State of the World’s Biodiversity for Food and Agriculture lancia un messaggio forte e chiaro: la biodiversità, alla base dei meccanismi di sussistenza del genere umano, sta scomparendo.
Partendo proprio da una serie di studi prodotti dalla FAO, un team di ricercatori dell’Università di Toronto si è posto la seguente domanda: quante e quali sono le colture su cui si basa il sistema agricolo globale? Ebbene soia, grano, riso e mais, solo queste quattro specie vegetali occupano circa il 50% delle terre coltivate sul Pianeta, il resto viene spartito da altre 152 colture. Un numero abbastanza esiguo, se pensiamo che attualmente le persone da sfamare sono circa 7 miliardi e arriveranno quasi a 10 miliardi entro il 2050.
Il problema della perdita di biodiversità nel comparto alimentare è piuttosto recente. Nel 1980, infatti, il mondo aveva conosciuto il picco massimo di diversità nelle colture ma, da quando si sono affermate negli anni Novanta sul mercato le grandi multinazionali del cibo e dei semi, il processo di produzione alimentare si è andato pian piano uniformando e, quindi, impoverendo.
In campo zootecnico la produzione mondiale di bestiame si basa su circa 40 specie animali, con solo un piccolo gruppo che fornisce la stragrande maggioranza di carne, latte e uova.
Le informazioni provenienti dai 91 paesi rivelano che le specie di cibo selvatico e molte specie che contribuiscono ai servizi ecosistemici, vitali per l’alimentazione e l’agricoltura, compresi gli impollinatori, gli organismi del suolo e i nemici naturali dei parassiti, stanno rapidamente scomparendo.
Ad esempio, i dati aggregati dei vari paesi riportano che il 24% di quasi 4.000 specie di cibo selvatico – principalmente piante, pesci e mammiferi – sta diminuendo. Ma la proporzione di alimenti selvatici in declino è probabilmente ancora più grande perché lo stato di oltre la metà delle specie alimentari selvagge è ancora sconosciuto.
È evidente come ci si trovi di fronte alla necessità di cambiare completamente rotta e, per farlo, serve una nuova scolarizzazione del mondo rurale, a sua volta preceduta da una nuova coscienza, etica, formazione e strutture scientifiche, tecniche e politiche che ne permettano la navigazione.
Non è un’impresa facile; troppi sono gli interessi e le sollecitazioni opposte che vengono da sistemi finanziari, lobby e multinazionali ma i dati scientifici e statistici non si prestano a nessuna altra interpretazione.
Abbiamo poco tempo per cambiare il nostro modo di pensare e valutare, ma siamo all’alba di una grande e vera rivoluzione verde che si chiama Agroecologia. Con essa cambia il modo di progettare i sistemi produttivi, organizzativi, commerciali e relazionali. Si tratta di una rivoluzione “copernicana” tutta da approfondire e diffondere.
(L'articolo che avete appena letto è tratto dal sito web Un Mondo Ecosostenibile. Lo abbiamo pubblicato previa autorizzazione del suo autore Guido Bissanti)
In copertina: Foto di Lyne Trott su Unsplash
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