Michela Murgia, la parità di genere passa anche dalle parole

Autore:
Federico Bizzini
01/07/2022 - 23:52

«Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva. Se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. È una morte civile, ma non per questo fa meno male. È con le parole che ci fanno sparire dai luoghi pubblici, dalle professioni, dai dibattiti e dalle notizie, ma di parole ingiuste si muore anche nella vita quotidiana, dove il pregiudizio che passa per il linguaggio uccide la nostra possibilità di essere pienamente noi stesse».

Parte da qui il saggio Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più (Einaudi, 2021) di Michela Murgia, un volume che analizza con lucidità come la discriminazione e la violenza nei confronti delle donne passi anche e soprattutto dal linguaggio. Del resto non è raro, purtroppo, che le donne nei luoghi pubblici scompaiano davanti ad espressioni irriguardose e velatamente offensive. Il maschilismo è imperante come dimostrano quanti si rifiutano di chiamare avvocata, sindaca, architetta le professioniste donna, e ciò comporta una deminutio verso tutte coloro che esercitano anche brillantemente le libere professioni. È come se dovessimo dire "farmacisto" al maschile e non correttamente al femminile. La Murgia, a tal proposito, formula l’augurio che fra dieci anni certe frasi non si debbano più sentire.
Vi sono, poi, luoghi comuni che non si riescono a sradicare dalla mentalità corrente: ad esempio, quello che le donne siano meno competenti degli uomini. In molti casi, la colpa della discriminazione non viene attribuita al maschilismo, ma alle donne stesse. Ed è come se, per assurdo, si dicesse: non sono io ad essere razzista, ma sono loro che sono neri.
È un po' il vecchio adagio dell’armamentario difensivo avvocatesco di quanti si erano resi colpevoli di violenze o addirittura stupri. Infatti, vi erano avvocati che sostenevano la tesi che la responsabilità di quanto accaduto fosse da imputare al comportamento provocante delle donne perché quest'ultime avevano indossato abiti succinti. Ciò non deve sorprendere dato che, anche in epoche relativamente recenti, la Cassazione ha assolto un imputato di violenza carnale sostenendo che l’accusa non poteva ritenersi credibile perché la donna indossava pantaloni attillati.
Perché ad un uomo in carriera non si chiede mai quanti figli ha o se li ha dovuti sacrificare sull’altare della sua eccellenza professionale? Ed invece tale domanda sulla necessità di conciliare lavoro e famiglia è un classico delle interviste alle donne. Un uomo potrebbe rispondere tranquillamente che vive per il suo lavoro. Per la donna vale l’atavica considerazione che sostanzialmente deve svolgere due lavori, quello in casa e quello legato alla propria professione. Questa è una sorta di dannazione storica che ne limita la possibilità di espressione se è vero che nelle regioni meridionali vi è un altissimo tasso di abbandono del lavoro delle donne che abbiano figli anche per la cronica carenza di asili nido e strutture sociali di supporto.
Ciò che farebbe vincere le elezioni ad un uomo probabilmente le farebbe perdere ad una donna. La forza, la determinazione e la capacità di sostenere conflitti aperti sono qualità che si riconoscono esclusivamente all’uomo. Alla donna si richiedono gentilezza, grazia, dolcezza, non troppa decisione. Anche se, ad onor del vero, la Murgia omette di dire che sono sempre di più le donne che si dedicano agli impegni lavorativi dimostrando il loro grande valore e raggiungendo le vette più ambite. Non va però dimenticato che, ad esempio, le donne hanno potuto entrare in magistratura solo nell’anno 1963 poiché prima tale carriera era loro interdetta.
Nel libro vengono anche ricordati alcuni episodi assai significativi. Il primo riguarda proprio la Murgia che ad una conferenza venne più volte indicata dal presentatore come "importante scrittore italiano". Alla terza volta la scrittrice fu costretta ad invitarlo in modo plateale a chiamarla al femminile. Poi, non si può non rammentare la frase che usò Berlusconi per aggettivare Angela Merkel, espressione (che qui omettiamo) tanto volgare da fare indignare.
Tutte dimostrazioni di giudizi universalmente radicati verso le donne.
Viene anche ricordato che al Teatro La Fenice di Venezia Bruno Vespa, presentando Silvia Avallone, vincitrice del Campiello con il romanzo Acciaio, mentre la scrittrice si accingeva a salire le scale per raggiungere il palco, chiese di inquadrarne lo spettacolare décolleté incentrando così l’attenzione solo sulla scollatura come se il fulcro della serata fosse il seno della scrittrice. Per rispondere alle critiche ricevute, il noto giornalista si giustificò puerilmente dicendo che in fondo erano gli astanti a peccare di umorismo perché erano loro a non avere compreso la battuta spiritosa. Ritorna il vecchio adagio anacronistico e ripudiato dalla società civile che le donne, in fondo, se la sarebbero cercata.
Per fortuna, abbiamo ormai tanti esempi di brillanti carriere ed affermazioni di donne ai massimi livelli. La stessa Murgia ne è la riprova come dimostrano i diversi libri di successo pubblicati e la rubrica, che fu di Eugenio Scalfari e Giorgio Bocca, curata sul settimanale L’Espresso ovvero, per passare dal giornalismo alla politica, la posizione di Marta Cartabia, ministra della Giustizia già presidente della Corte Costituzionale. Esempi dai quali non è più possibile prescindere.

 

Foto di copertina: Pixabay

 

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