Stufe e caldaie a legna responsabili di metà delle polveri sottili in UE
Un fuoco scoppiettante in una stufa a legna o in un caminetto può sembrare un modo molto ecologico e salutare per riscaldare le nostre case. Purtroppo, pare che ciò non corrisponda alla realtà dei fatti e che il riscaldamento domestico a base di legna e carbone in stufe, camini e caldaie emetta circa la metà di tutto il particolato fine (PM2.5) ed il nerofumo (la polvere nera prodotta in prevalenza dal carbonio) all'interno dell'Unione Europea. Inoltre, la combustione domestica del legno è anche un'importante fonte di particolato ultrafine ancora più piccolo (PM0.1).
Ad affermarlo è un nuovo studio che, intitolato Dove c'è fuoco c'è fumo - Le emissioni dal riscaldamento domestico con legna (Where there’s fire, there’s smoke - Emissions from domestic heating with wood), è stato portato avanti dall’European Environmental Bureau (EEB), la più grande rete europea di organizzazioni ambientaliste, insieme con la danese Green Transition.
La ricerca spiega che, tra tutte le fonti di produzione di calore, «la combustione di legname domestico è l'inquinante peggiore, causando i costi sanitari più elevati. Il PM2.5 è, infatti, una delle forme più pericolose di inquinamento atmosferico: queste minuscole particelle solide - inferiori a 2,5 micrometri di diametro - possono penetrare in profondità nel tratto respiratorio umano ed entrare nel flusso sanguigno, causando malattie polmonari e cardiache, nonché cancro, influenzando il sistema nervoso centrale e colpendo gli organi riproduttivi. Inoltre, il riscaldamento domestico a legna emette concentrazioni relativamente elevate di diossine, sostanze chimiche molto persistenti e tossiche che si accumulano nella catena alimentare e possono causare problemi riproduttivi e di sviluppo, danneggiare il sistema immunitario e interferire con gli ormoni. Anche le stufe e le caldaie alimentate a biomassa possono contribuire in modo significativo all'inquinamento dell'aria interna, poiché sono collocate all'interno delle nostre case e possono disperdere l'inquinamento direttamente nell'aria interna nelle stagioni con ventilazione limitata. Sebbene le nuove stufe e caldaie a legna emettano meno particelle rispetto ai modelli precedenti inquinano molto più di altri metodi di produzione di calore disponibili, e quindi non dovrebbero essere considerate una soluzione praticabile per la riduzione dell'inquinamento atmosferico».
Secondo l’EEB, al contrario, «si avrebbero maggiori benefici per la salute se si interrompesse l'uso della combustione del legno su piccola scala e si utilizzassero un migliore isolamento e soluzioni di calore pulite, come il teleriscaldamento nelle città e le pompe di calore fuori dalle città».
Scendendo nel dettaglio, lo studio afferma che una nuova stufa EcoDesign (che prevede i requisiti minimi che i prodotti a combustibile solido utilizzati per il riscaldamento devono rispettare per poter essere immessi nel mercato europeo) può emettere 60 volte più particolato di un vecchio camion del 2006 e addirittura 750 volte di più di un camion del 2014. Una nuova stufa EcoDesign può emettere 5 grammi di particelle fini per chilogrammo di legno per cui «bruciare un solo chilogrammo di legno inquinerà 500.000 metri cubi di aria completamente pulita fino al livello dell'attuale linea guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità sulla qualità dell'aria per il particolato fine (10 µg/m3)».
Sulla questione va registrato il parere di AIEL (Associazione Italiana Energie Agroforestali) che in un suo comunicato, facendo riferimento allo studio dell’EEB e di Green Transition, ricorda che «le biomasse legnose rappresentano la principale fonte energetica rinnovabile nel nostro Paese e sono una scelta economicamente vantaggiosa per molte famiglie ma anche un’opportunità concreta nell’ottica del contrasto al cambiamento climatico. Privilegiare le fonti rinnovabili disponibili sul territorio come le biomasse legnose garantisce importanti ricadute positive in termini socioeconomici (con un valore aggiunto che rimane praticamente tutto sul territorio) ambientali e occupazionali. La produzione di biomasse solide assicura infatti continuità, stabilità e programmabilità, tre aspetti centrali per rendere la transizione ecologica realmente sostenibile e inclusiva».
Per ridurre e risolvere il problema del particolato, AIEL «ritiene prioritario continuare a sostenere il ricambio tecnologico di stufe e caldaie obsolete con impianti moderni e più performanti, in grado di abbattere le emissioni di polveri sottili. Il settore è infatti impegnato da anni a ridurre il proprio impatto sulla qualità dell’aria, senza negare le criticità ma mettendo in campo le soluzioni che, per la parte riguardante la combustione delle biomasse, sono già disponibili sul mercato, grazie a importanti investimenti in ricerca e sviluppo da parte dei produttori di apparecchi».
L’Associazione Italiana Energie Agroforestali invita poi a leggere i dati dell’Inventario Nazionale delle Emissioni pubblicato da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). «L’inventario, nella sua versione più aggiornata (2021), conferma nel 2019 un ruolo ancora rilevante del riscaldamento non industriale alla emissione di PM10 primario. In inverno circa il 50% delle emissioni di PM10 sono prodotte dal riscaldamento domestico. Questo dato è legato all’uso ancora troppo diffuso di tecnologie tradizionali obsolete per la combustione domestica del legno che non sono più compatibili con i processi di miglioramento e/o mantenimento della qualità dell’aria. Nel 2019, secondo ISPRA, il 40,3% dell’energia termica da riscaldamento a biomassa veniva prodotta da camini aperti ed il 18,40% da stufe a legna, mentre solo il 7,9% dell’energia è prodotta mediante stufe a legna “evolute” e solo il 13,6% dell’energia è prodotta da stufe a pellet. Lo stesso report fotografa un parco installato che ancora dipende per il 60% da tecnologie tradizionali obsolete».
Questi dati confermano che, anche nel 2019, le emissioni di PM10 del riscaldamento civile si confermano in calo, calo che negli ultimi 10 anni ha raggiunto il 24%. Una diminuzione che, sempre secondo AIEL, è da attribuirsi al turn over tecnologico, raggiunto anche grazie a incentivi come Conto Termico ed Ecobonus.
In conclusione, AIEL sottolinea che «il calo registrato negli ultimi 10 anni è l’inizio dell’effetto che può derivare da un turn over accelerato su scala nazionale, infatti le moderne tecnologie allo stato della tecnica, nel riscaldamento domestico a legna, pellet e cippato, possono raggiungere fattori di emissione di poche decine di grammi per GJ (gigajoule) di energia termica prodotta e nei casi migliori (tecnologie ad emissioni “quasi zero”) si arriva a pochi grammi per GJ. L’introduzione massiccia di queste tecnologie cambierà radicalmente il peso delle biomasse nelle emissioni di particolato primario. Non si tratta di scenari ipotetici ma di obiettivi che in alcuni paesi europei sono già stati raggiunti concretamente, come certificano i dati ufficiali».
(Fonte: ANSA/EEB/AIEL)
In copertina: Foto di Sven Brandsma on Unsplash
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