Catania sostenibile: socialità, economia, ambiente di una città mai progettata
Il territorio di Catania vanta un patrimonio naturale, paesaggistico, storico, culturale, unico; noi dell’Associazione per la Difesa dell’Ambiente e della Salute – A.D.A.S. onlus – poniamo al centro del nostro impegno sociale la ricchezza di questa realtà e di tutto il patrimonio naturale e antropico della Sicilia. Che quest’area tra l’Etna e i Monti Climiti fosse un’inestimabile risorsa dell’intera Sicilia se ne accorsero per primi i coloni greci che, nell’VIII secolo a.C., fondarono le poleis Leontinoi e Katane a guisa di porti sicuri della Piana. Oggi la Città Metropolitana di Catania, settima realtà metropolitana in Italia con oltre un milione di abitanti e 58 comuni del comprensorio, onora la fondazione greca unendo per la prima volta l’intero sistema della città e del paesaggio in un unico ambito amministrativo. C’è da chiedersi, però, cosa abbia in comune la città più recente con la sua storia e, soprattutto, cosa faccia per onorarla e tutelarla.
In ambito urbanistico l’ultimo felice episodio di trasformazione urbana della città risale a quarant’anni fa, quando l’amministrazione pubblica realizza il Complesso Fieristico Le Ciminiere, progetto dell’architetto Giacomo Leone; da allora tutto il resto è (stato) noia.
Oggi Catania non rappresenta un nucleo solido nel territorio, piuttosto la città si è fermata e ha ceduto il passo a realtà amministrative limitrofe più piccole ma che hanno saputo rispondere meglio alle nuove esigenze della società civile: si veda Aci Bonaccorsi, comune capofila per qualità della vita, servizi per la cittadinanza, raccolta dei rifiuti, partecipazione dei cittadini alla vita sociale del paese. La raccolta differenziata, il verde pubblico, le strade e le piazze, gli standard abitativi del patrimonio edilizio ed, in generale, la qualità della vita, sono i temi urbani e sociali più facilmente riconoscibili a 30 km dal centro città piuttosto che sutta l’acchi da Marina.
In prossimità dello storico viadotto ferroviario, inaugurato nel 1869, le porte d’accesso meridionali della città si incontrano e, piuttosto che integrarsi e accelerarne i flussi di scambio, li complicano e compromettono. Viene da sé pensare che un’infrastruttura così vincolante funzionalmente e scarsamente reversibile (l’idea che ogni tracciato ferroviario sia trasformabile in pista ciclabile è superabile) forse non sia più compatibile con le esigenze metropolitane moderne. Serve un nuovo efficiente accesso sud alla città e, cosa ancora più importante, delle vie di fuga sicure verso il mare dato il rischio sismico del territorio. Piuttosto si realizzino delle congrue piste ciclabili davanti al mare, magari con opportune verzure che tutelino da gas di scarico e polveri sottili il ciclista.
Liberiamo il fronte mare dagli edifici e dalle balorde proprietà private e restituiamo seriamente alla città il blu dello Ionio, piuttosto che banalizzare la questione con esotici boulevard, improbabili piazze pedonali, babilonesi terrazze giardino, così come previsto dall’ardito progetto di recupero del Corso dei Martiri della Libertà.
Bisogna ripensare la vegetazione sia come risorsa di ossigenazione e depurazione dell’aria, cosa fondamentale in una città affollata di mezzi a combustione e con sezioni stradali modeste, sia per mitigare le temperature superficiali delle strade nella stagione estiva, garantendo una condizione di maggiore benessere per i pedoni. Essa, infine, costituisce un’alternativa allo spettacolo, a volte drammatico, che l’edificato moderno rappresenta. La cura del verde deve prevedere corrette piantumazioni e sane potature e non effettuare capitozzature che indeboliscono gli alberi e li rendono inefficaci sia all’ossigenazione dell’aria sia al contenimento della calura estiva.
La città deve liberarsi dei vecchi feticci provinciali e interpretare le regole metropolitane globali: non ha senso vincolare ogni tipo di edificio storico se non può essere restituito alla collettività perché abbandonato o diruto. Impedire qualsiasi intervento a scala urbana sul costruito scoraggia anche gli imprenditori che preferiscono realizzare grossi centri commerciali in periferia, all’interno di inquietanti strutture asservite alle auto e alla più banale visione di spazi collettivi.
Piuttosto si compiano gli opportuni sventramenti all’interno di isolati abbandonati per realizzare opere e inserire servizi utili a migliorare la vita dei residenti e ripopolare il centro, così da alleggerire il traffico veicolare privato. Si realizzino parcheggi anche sotterranei e si liberi lo sguardo dalle auto in sosta che ingorgano le vie del centro, deturpando qualsiasi scenario urbano, da piazza Teatro Massimo a via Crociferi. Si supportino anche i privati al recupero dell’edificato storico e si scoraggino nell’utilizzo delle auto.
Si preveda un Piano del colore che stabilisca gli interventi ammessi sulle facciate degli edifici e che limiti l’abuso di pitture a sproposito come su elementi lapidei in pietra lavica. L’estetica è un valore sociale che va tutelato e diffuso con interventi sapienti e migliorativi, non con fontane di imprecisata collocazione stilistica che altro non sono che sadici esempi d’impareggiabile bruttezza, segni che difficilmente possono essere eliminati dalla memoria e dalla vista. Che la bellezza si riappropri della città, che tornino le insegne sulle strade ma siano regolate piuttosto che consentire che ricoprano gli edifici.
L’amministrazione deve farsi carico di questo processo di evoluzione della città intera, deve trasmettere un nuovo senso di vitalità e di efficienza; gli uffici pubblici, gli ospedali, i musei devono essere i primi luoghi a misura del cittadino, una città accessibile è una città consapevole e responsabile. Deve favorire, inoltre, le iniziative di aggregazione da parte di quelle realtà collettive che svolgono attività sociali, per esempio mettendo a disposizione spazi all’interno di edifici inutilizzati, in modo tale da stimolare la dimensione collettiva, la circolarità delle idee e consentire lo svolgimento di quei servizi che la pubblica amministrazione, spesso, non riesce a garantire.
Infine servirà porre attenzione al turismo che si sta precocemente impossessando del patrimonio edilizio catanese, soprattutto del centro storico, comportando un consistente ritorno economico sia privato che pubblico. Questa nuova sfida andrà affrontata nel rispetto dell’esistente, senza compromettere l’autenticità di quartieri storici che rappresentano la vitalità identitaria catanese.
Per concludere, una riflessione sempre attuale di Giacomo Leone, noto architetto catanese: «Il problema della Sicilia è culturale, non conosciamo il senso del bello. La maggiore responsabilità delle cose brutte che ci sono in Sicilia è da imputare agli amministratori locali. Sindaci e soprintendenze. Sono loro che non hanno occhi per guardare. Non ci vuole molto, basta il buon senso, se controllassero veramente, se vigilassero su tutto quello che si fa senza un minimo di ragionevolezza la nostra terra sarebbe già ricca».
Ernesto Alberghina, architetto
coordinatore tavolo urbanistica e territorio di A.D.A.S. onlus