La povertà di chi non sa amare
Tonno in scatola e crackers confezionati sono per voi il cibo adatto a un bambino? Lo dareste a vostro figlio? Anzi, mentre altri bambini seduti allo stesso tavolo mangiano pasta e carne, come vi sentireste se a vostro figlio riservassero tonno in scatola e crackers? Sì, solo a lui perché voi siete poveri e non avete i soldi per corrispondere la retta per il servizio mensa. Mentre nell’aria si sprigionano i profumi dei cibi appena cucinati, vostro figlio deve accontentarsi di odorare e guardare i piatti altrui mentre manda giù, per fame, tonno in scatola e crackers che condisce con il sapore amaro delle lacrime e l’umiliazione di vedersi escluso dal cibo comune.
Perché chi è povero, oggi, è un diverso che va punito, perché nella società attuale la povertà è una colpa di cui vergognarsi. E il povero va messo alla pubblica gogna, appunto come quella ragazzina umiliata davanti all’intera comunità scolastica, come se la povertà fosse una comoda scelta!
Una domanda mi è venuta subito spontanea, i compagni con il piatto pieno di pasta fumante hanno pensato di condividere le loro porzioni con la loro amichetta, mezzo cucchiaio tolto da ciascun piatto avrebbe formato una bella porzione per lei, o hanno solo pensato a riempirsi la pancia ridendo di lei e della sua povertà? E gli insegnanti che hanno fatto, hanno colto l’occasione per insegnare la solidarietà agli alunni o si sono limitati a guardare? Hanno pensato di rinunciare al loro pranzo, tanto a casa avrebbero trovato di che riempirsi la pancia, o anche loro hanno mangiato guardando la piccola allieva inghiottire tonno e crackers? Sì, perché la società egoista e cafona si costruisce tassello per tassello a casa e a scuola. Si costruisce ogni volta che si perde la possibilità di puntare il dito contro una ingiustizia e di indicare il comportamento corretto da seguire.
L’empatia si sperimenta già da bambini, immedesimandosi nell’altro e soffrendo o gioendo come lui. Perché è così che si costruisce una società che rispetta tutti gli esseri che la compongono, che sostiene i più fragili perché siano uguali a tutti gli altri. Perché ciascuno si senta amato.
Non mi piace che una Pubblica Amministrazione punisca la povertà, ma mi piace ancora meno una Scuola che non insegna la solidarietà.
È il tradimento del messaggio etico contenuto nel vocabolo “compagno”. E già, perché compagno deriva dal latino cum panis; compagni, nella accezione originale del termine, sono coloro che condividono lo stesso pane: metafora di una condivisione ancora più profonda che riguarda l’esistenza stessa fatta di dolori e gioie che i compagni, quelli veri, condividono insieme sentendosi corpo unico in una comunione totale.
Non mi piacciono gli educatori che non sanno educare alla condivisione, che non riescono ad attizzare nei giovanissimi la sacra fiamma della indignazione che deve divampare davanti alle ingiustizie sociali. Che a capo chino ficcano la forchetta nel proprio piatto, magari esclamando tra sé e sé un poveretto che avrebbero fatto a meglio a riservare a se stessi.
Non mi piace una Scuola che non sappia formare futuri cittadini educandoli alla giustizia sociale; che non insegni che le disparità di trattamento basate sulla capacità economica sono odiose; che la equa ripartizione delle risorse è l’unico modo per cancellare quel mostro che fa paura a tutti e che si chiama povertà!
Non rifugiamoci nel ritornello, tanto comodo quanto ipocrita, che i giovani di oggi non hanno ideali e valori; non diamo loro colpe che non hanno. I giovani, colpevolizzati ingiustamente, sono lo specchio delle nostre sconfitte come educatori, come insegnanti e come cittadini. I giovani sono il prodotto di una società che non hanno contribuito a costruire, che noi abbiamo confezionato infarcendola di vacuità e volgarità, deprivandola dei valori etici e affollandola di feticci snob.
Sta a noi, fino a che siamo in tempo, avviare un processo di cambiamento che ricollochi al centro la persona e non esalti un ricco portafoglio contornato di oggetti di lusso, tanto appariscenti quanto pacchiani.
Iniziamo dal nostro quotidiano, seminiamo sorrisi e piccoli gesti di attenzione verso gli altri, tutti. Non aspettiamo che arrivi il campione di calcio dal grande cuore, che, secondo chi è sempre pronto a sminuire i gesti altrui, se aiuta lo fa perché è ben pagato; pensiamoci tutti a offrire sostegno, ciascuno di noi faccia la sua parte. Perché ogni bambino cresca felice in una società in cui scorrono solidarietà e amore.
Perché la pagnotta possa essere spezzata tra esseri che hanno scelto di correre insieme nella vita e per la vita. Sperimentando la gioia della condivisione. Perché la vera povertà è quella di chi non sa amare!
E una società che ha recuperato la propria umanità non avrà pubblici amministratori che negano il piatto di pasta a chi è in povertà, semplicemente perché la società che ha posto le proprie basi nell’etica non si riconosce in coloro che propugnano regole disumane e non li sceglie per farsi rappresentare.
Insomma, ci potrà salvare solo un cambiamento sociale che parta dal basso e che cominci da ciascuno di noi.
Marisa Falcone, Direttore Editoriale de ilpapaverorossoweb
Coordinatrice Commissione "Salute, Sanità, Assistenza e Servizi Socio-Sanitari, Inclusione e Benessere Sociale" di A.D.A.S.