Migrazione ed emigrazione ieri, oggi e domani: una storia di tutti
Riguardano la storia dell'Uomo sin dalle sue prime apparizioni sulla Terra, non esiste epoca o popolo che non le abbiano conosciute, sono una costante che ha caratterizzato e condizionato in maniera irrimediabile l'identità collettiva di tutte le Nazioni. A causa di esse muta il volto della geografia umana e oggi è un tema così tanto discusso, analizzato, studiato, strumentalizzato da dettare l'agenda politica, economica e mediatica. Stiamo parlando di migrazione ed emigrazione: i due termini, in realtà, non sono sinonimi e la semplice lettura di un autorevole dizionario aiuta a dirimere i dubbi:
«Migrazione è lo spostamento di interi popoli o gruppi sociali da un territorio a un altro, per periodi lunghi o per sempre; il termine trova applicazione anche in ambito zoologico, per definire il trasferimento stagionale di molte specie animali. L’emigrazione è invece lo spostamento di persone o famiglie dal proprio luogo d’origine a un altro dove sia possibile trovare lavoro e migliori condizioni di vita. Un abbandono in massa forzoso del luogo d’origine per sottrarsi a una catastrofe naturale o alla pressione del nemico si definisce invece esodo. Diaspora, come migrazione, descrive l’abbandono dei luoghi d’origine da parte di un intero popolo, il quale, tuttavia, non si dirige verso un unico luogo ma si disperde in molte direzioni (es. la diaspora degli Ebrei)».
Tuttavia, in questa sede, vogliamo porre l'accento sulla realtà in sé che riguarda milioni e milioni di persone che si spostano da un luogo all'altro per ragioni diverse da quelle legate al turismo, allo svago e simili, quindi ci sarà concesso di non utilizzare in modo inappuntabile la terminologia vigente. La panoramica mondiale è estremamente complessa, si basa su numeri certificati laddove possibile, ma anche di stime e previsioni. Non è facile districarsi tra una mole di fonti e dati, in continuo aggiornamento, ricca di sottoinsiemi, sfumature, gruppi, distinzioni e quant'altro. Volendo scremare un po' i numeri, possiamo attanerci all'area europea, facendo riferimento alle "Statistiche sulle migrazioni internazionali e sulle popolazioni di origine straniera" pubblicate da Eurostat, che ci dicono che «Complessivamente, nel 2017 sono immigrate in uno degli Stati membri dell'UE-28 4,4 milioni di persone, mentre almeno 3,1 milioni di migranti hanno lasciato uno Stato membro dell'UE. Tuttavia tali dati non riflettono i flussi migratori da e verso l'UE nel suo insieme, perché includono anche i flussi tra gli Stati membri dell'Unione. Di questi 4,4 milioni di immigrati nel 2017, 2,0 milioni sono cittadini di paesi terzi (cifra stimata), 1,3 milioni possiedono la cittadinanza di uno Stato membro dell'UE diverso da quello in cui sono immigrati, circa 1,0 milioni sono persone immigrate in uno Stato membro dell'UE del quale avevano la cittadinanza (per esempio cittadini che rimpatriano o cittadini nati all'estero) e circa 11.000 sono apolidi».
Restringendo il campo di osservazione alla sola Italia, i dati del Ministero dell'Interno su sbarchi e accoglienza dei migranti sono raccolti su un cruscotto statistico facilmente consultabile e riassunto per grafici e diagrammi. Altri importanti dati su larga scala provengono dall'International Migration Outlook 2019 redatto dall’OCSE e dalle statische dell'UNHCR. Questi dati, pur utilissimi per cercare di dare una cornice strutturata ad un quadro ricco di sfumature, risultano quasi freddi se non focalizziamo un concetto fondamentale: dietro ogni unità, dietro ogni numero, dietro ogni dato c'è una persona in carne ed ossa. Ne deriva che la portata del fenomeno abbraccia una sfera dai confini labili, intessuti nelle innumerevoli storie umane di sofferenza, privazione, dolore, ma anche di miracoli, salvataggi, tramonti su un passato da dimenticare e albe su un nuovo giorno ricco di speranze. La Storia, purtroppo, sembra non darci sufficienti lezioni in tal senso, perché se ancora nel 2019 così tante persone al Mondo sono costrette a lasciare la propria terra, vuol dire che il modello sociale, politico ed economico attuale è comunque errato e inumano.
Chi scrive potrebbe raccontare varie storie tramandate dai nonni, relative alle emigrazioni in Argentina e Stati Uniti di chi ha lasciato la Sicilia per una nuova speranza, in tempi (prima e poco dopo la Seconda Guerra Mondiale) in cui la sola traversata dell'Atlantico era un'Odissea post-moderna. Nei racconti dei miei nonni, quando erano in vita, ho trovato un'enorme ideale spazio vuoto, superiore alla massa di acque che separava “casa” dall'America: era il senso di mancanza degli affetti, lasciati tra le province di Enna e Catania. Nel mio viaggio a New York di alcuni anni fa visitai Ellis Island: sono riuscito a trovare i nomi di alcuni lontani parenti emigrati, tutti necessariamente transitati e registrati in quell'avamposto che precedeva l'ingresso nel Nuovo Mondo. Non voglio però dilungarmi oltre, per via della mia ferrea volontà di tenere care le cose più intime. Tuttavia questo aggancio può essere utile per osservare da un duplice prospettiva i fenomeni migratori tra il nostro Paese e il resto del Mondo.
L'Italia è da sempre terra di approdo per chi proviene anche da lontano, ma è allo stesso tempo porto da cui salpano migliaia di connazionali, così come ci dice l'ISTAT nel suo rapporto "Mobilità interna e migrazioni internazionali della popolazione residente". Sempre più giovani lasciano lo Stivale per cercare occupazione, prospettive e stabilità in altre Nazioni: il dato, unito alla minore natalità, all'invecchiamento progressivo della popolazione e alla mancanza di un ricambio generazionale segna un rischio sociale concreto. Bisogna però evidenziare come le dinamiche di emigrazione dall'Italia seguano per lo più quelle economiche, mentre il Mondo oggi conosce anche la nuova realtà dei migranti climatici, legati alle conseguenze dei disastri ambientali che stanno colpendo ovunque il pianeta.
Oggi è difficile fornire dati certificati perché manca di fatto definizione univoca di “migrante climatico”, a partire dal nome. Infatti, per indicare questa particolare categoria di migranti sono state proposte diverse denominazioni: migranti forzati dall’ambiente (forced environmental migrant o environmentally motivate migrant), rifugiati climatici (climate refugee), rifugiati a causa del cambiamento climatico (climate change refugee), persone dislocate a causa delle condizioni ambientali (environmentally displaced person), rifugiati a causa dei disastri (disaster refugee) fino ad arrivare a “eco-rifugiati” (eco-refugee). Anche qui: manca un “nome” perché manca una definizione. Uno studio effettuato dalla Banca Mondiale su tre macroaree come l'Africa subsahariana, l'Asia meridionale e l'America Latina, le quali rappresentano il 55% della popolazione dei paesi in via di sviluppo, stima che oltre 140 milioni di persone saranno costrette a spostarsi entro il 2050.
Ciò avverrà poiché lo scioglimento dei ghiacciai e il conseguente innalzamento del livello degli oceani renderanno sempre più difficile procurarsi acqua e cibo. Allo stesso modo le desertificazioni che avanzano e l'impoverimento del suolo sfruttato oltre ogni limite, causano e causeranno flussi migratori. Tenendo in considerazione le tre aree sopra indicate, la Banca Mondiale pone un accento sulle migrazioni interne: 86 milioni di persone si sposteranno in Africa, 40 milioni in Asia del Sud, 17 milioni in America Latina. Questi movimenti provocheranno gravi squilibri, accentuando le disuguaglianze già esistenti e minando i sistemi politici. L'ONU prevede che nell'anno 2030 sul nostro pianeta ci saranno circa 8,5 miliardi di abitanti. La popolazione continuerà a crescere raggiungendo 9,7 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi nel 2100. Un altro studio è quello pubblicato dall'OIM, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, le cui previsioni future variano da 25 milioni a 1 miliardo di migranti ambientali entro il 2050. Insomma, saremo forse troppi per le risorse distribuibili oggi, in rapporto alle aspettative di vita e alle condizioni in cui stiamo portando la Terra, ed è chiaro che occorre invertire la rotta in maniera drastica, coraggiosa e inclusiva.
Andrea Cuscona