Chiare e fresche o malsane e superflue? Le acque ai nostri giorni

Autore:
Riccardo Anastasi
13/12/2015 - 23:15
serbatoi di acquedotti sardi a regime di distribuzione

CAGLIARI - Pregiudizi o metodi salvavita? Sebbene a qualcuno sia sembrato che negli ultimi tempi Giove Pluvio si sia accanito nell’inviare abbondanti quantità di pioggia ad irrorare la linfa vitale del pianeta, a nessuno passerà inosservata la regola per la quale l’acqua, bene oltremodo prezioso, sia soggetta a diverse valutazioni, per così dire, “coscienziali”.

Come a comporre un immaginario compendio di valutazione, sei sono le richieste che l’utente, nella sua quotidianità, avanza alla sua acqua, nel servirsene e approvigionarsene.

Salubrità, che si tratti di acqua dalle elevate concentrazioni di sostanze tossiche o meno, purezza, che sia un’acqua pura di fonte o trattata, inquinamento, a seconda che si tratti di acqua di falda o imbottigliata.

E poi ancora la concentrazione di sali, a denotare le caratteristiche di mineralizzazione di ogni tipo di acqua, il costo, considerata la variazione del prezzo d’acquisto, e infine la conservazione.

Su quest’ultimo punto, in tutta la Sardegna da diverso tempo ci si interroga sull’effettivo stato dell’acqua che, emergenze idriche permettendo, giunge quotidianamente all’uso civile.

Ora, sebbene valga ancora quella considerazione per la quale l'acqua in bottiglia si conserva pura, mentre quella dell'acquedotto parte pulita ma si contamina strada facendo, sembra d’obbligo fare un po’ di chiarezza, anche alla luce delle ultime scoperte che hanno destato i residenti di mezza isola.

Più o meno accettata, anche se a malincuore, appare la constatazione del fatto che attualmente i casi di contaminazione del liquido per effetto di rilasci di sostanze chimiche presenti nei polimeri plastici e nelle attrezzature di pompaggio e convogliamento siano quasi all’ordine del giorno. Ma di certo va contro ogni logica in favore del viver civile l’immagine che da tempo ci giunge dalle province centro-settentrionali della Sardegna.

tubazioni ostruite da sedimentazioni di manganese

Quando infatti si parla di condotte vecchie e degradate l’immaginazione va automaticamente sul tubo mezzo marcio sostituito nel bagno di casa. Ecco, quel po’ di ruggine e calcare non è niente rispetto alle condizioni delle condotte idriche recentemente portate alla luce e che scorrono sotto la pelle di alcuni grossi centri come Sassari, Olbia e Nuoro.

Veri reperti subacquei rimasti per qualche secolo a marcire negli abissi accanto a qualche relitto. Tubazioni dal colore quasi “vintage” che se sessant’anni fa evidenziavano un diametro da 200 cm con una capacità di portata tale da servire almeno 2000 abitanti, ora denotano una  larghezza effettiva più che dimezzata a causa delle incrostazioni e dell’azione che ha portato a far sedimentare tutto. Protuberanze rosse fuoriuscenti dalle condotte che sembrano dei brufoli ferrosi, ma che, in verità, studi accurati hanno consentito di identificare, in molti casi, in tubercoli imbottiti di manganese.  

Va da sé che, passando l’acqua da lì dentro per chilometri e chilometri, poi non c’è tanto da meravigliarsi se dal rubinetto di casa uscirà con delle colorazioni inquietanti. Stante la situazione ormai mestamente conclamata in tre quarti di Sardegna, complici pure ondate di maltempo in grado di danneggiare impianti di depurazione e smaltimento dei reflui, non c’è da meravigliarsi nemmeno dei cali di pressione a cui è soggetta da almeno un ventennio l’intera popolazione isolana, visto che in certi tratti le condotte, imbottite di incrostazioni, si trasformano in cannucce.

E neanche del fatto che, come appare in una recente statistica, più del 45% dell’acqua convogliata dagli acquedotti non arriverà mai a destinazione, perché soggetta a perdita costante nel viaggio all’interno della rete colabrodo.

vecchie tubazioni della rete idrica a Sassari

Quanti sbalzi di pressione o sussulti possono reggere tubazioni così malridotte? Ogni quanti mesi sono destinate a rompersi? Interrogativi che la popolazione isolana continua a porsi assieme a quelli che, purtroppo, vanno a investire altri aspetti non meno importanti, tra cui il costo per l’approvigionamento giornaliero e l’impatto sulla salute pubblica dell’acqua alterata. Né tossica né cancerogena, si tiene a precisare dalle stanze dei bottoni, ma del tutto anormale nell’aspetto esteriore e nella trasparenza quando, dopo l’uscita dai potabilizzatori con valori a norma, percorre decine e decine di chilometri in tubi malati, pieni di sedimenti calcarei e di manganese che concorrono a far assumere al liquido una tonalità giallastra.

Pensate a chi secondo una propria ritualità, giornalmente prepara il caffè la mattina, cuoce i cibi, pensa all’igiene personale convinto di poter utilizzare l’acqua della rete idrica pubblica, ma, considerata l’alterazione che ne dichiara da sola la sua non potabilità, deve ricorrere all’acqua minerale acquistata al supermercato o dove più congeniale.

Poco economico e perfino eticamente ingiusto. Perché se mai ci si trovasse nella condizione di dover scegliere il peggiore dei mali (e a oggi, congiunture economiche a parte, sembra che bollire l’acqua corrisponda al rimedio più economico e sicuro per combattere costi e condizioni dell’acqua) non si terrebbe in debito conto l’elevato rischio a cui si va incontro.

Ad esempio, l'assunzione di acqua con valore di durezza elevato (che corrisponde ad elevata presenza di calcio o manganese) potrebbe acuire una sofferenza renale, così come elevate concentrazioni di nitrati potrebbero provocare in soggetti sensibili (anziani e neonati) disturbi nel trasporto dell’ossigeno nel sangue.

E perché non pensare a quel carico di orrori che incrostano tubi e condutture idriche? Il piombo, contenuto in minima parte nella lega di metalli che compongono l’anima dei tubi è un elemento tossico ad azione generale che si accumula nello scheletro; se pensiamo al graduale, lento rilascio nell’acqua che attraversa le condutture sporche ed ostruite ormai da anni, la sua prolungata assunzione a concentrazioni minime, ma pur sempre superiori al limite, ha effetti negativi sul sistema nervoso centrale e periferico e può provocare anemie e disturbi gastrointestinali.

serbatoi idrici dell'acquedotto di Sassari

Da Sassari a Porto Torres, a Castelsardo, da Olbia ad Arzachena e Golfo Aranci è un fioccare di ordinanze sindacali che vietano l'utilizzo dell'acqua a fini alimentari. Divieti che si aggiungono alle chiusure notturne degli acquedotti per risparmiare sull’effettiva quantità d’acqua immessa nelle condotte territoriali. Perché all'origine di tutto ci sono i bacini ormai vuoti, “depredati” dalla mancanza di piogge regolari e per niente sollevati da inutili bombe d’acqua che non fanno proprio bene a nessuno.

Spesa, reale utilizzo, qualità o spreco, servirebbe davvero agire, scongiurando disastri ambientali di enorme portata.

Come? Prendendosi cura di un bene si prezioso quanto vergognosamente sprecato.

Strano per una volta che sia il contrario. Ma così è.

 

A cura di Riccardo Anastasi

 

 

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