Cuccìa, dal grano Margherito una delizia della tradizione siciliana

Autore:
Redazione
12/12/2020 - 03:36

In Sicilia, da tempo immemorabile, il 13 dicembre, per la festa di Santa Lucia, è l'occasione giusta per gustare la cuccìa, un piatto della tradizione popolare a base di grano duro che viene condito nei modi più disparati: dolce soprattutto nella Sicilia nord-occidentale, salata nella Sicilia sud-orientale. Con il miele o con olio e sale, ma anche in brodo, o con la ricotta o con i legumi, è un piatto straordinario da assaporare caldo o freddo. La preparazione della cuccìa richiede tempo, perché il grano duro va ammollato per circa tre giorni e grattato nelle antiche tegole di cotto, i cosiddetti coppi”, per privare i chicchi del tegumento.

Negli anni la tradizione della cuccìa, proprio per i tempi di preparazione, è divenuta sempre più rara tanto da rischiare di perdersi.

Dalla voglia di salvare dall'oblìo questo antico piatto della cucina povera è nata una cuccìa confezionata sottovuoto, pronta per la cottura perché l'azienda siciliana che la produce cura, prima del confezionamento e della commercializzazione, ammollo e graffiatura. Una cuccìa di antico grano duro siciliano, il Margherito tipico delle zone del calatino, facile da preparare perché cuoce in circa due ore, ma che conserva integro il gusto delle antiche preparazioni casalinghe.

Questa felice intuizione è della famiglia Sammartino di Caltagirone, proprietaria dello storico Molino Crisafulli che costituisce un raro esempio di archeologia industriale perché ha mantenuto attive le macchine realizzate dalle altrettanto storiche Officine Reggiane, nate nel 1901, che nel 1920 aggiunsero la produzione di macchine per mulini, pastifici e zuccherifici a quella di locomotive, vagoni, tram e vetture.

A Giuseppe Sammartino abbiamo chiesto di raccontarci questa storia affascinante.

«Il Molino nasce nei primi anni del '900 e viene ristrutturato nel 1951 per volontà dei fratelli Crisafulli. Sorge nel quartiere San Francesco di Paola di Caltagirone ed è sempre stato un punto di riferimento del territorio calatino per continuità e qualità produttiva. Nel 2009 nasce la Molino Crisafulli Società Cooperativa Agricola a r.l. che aggiunge alle macchine originarie un mulino con macina a pietra per la produzione delle farine integrali».

Giuseppe Sammartino, con orgoglio, ci tiene a precisare che «il grano duro molito al Molino Crisafulli è grano duro siciliano, varietà Simeto e Margherito, per la maggior parte conferito dai soci della stessa Cooperativa».

La Molino Crisafulli è, infatti, azienda di produzione e trasformazione. Coltiva e trasforma grani siciliani e, da qualche tempo, pure canapa per uso alimentare sempre nel rispetto dell'ambiente, quindi senza fare ricorso a glifosato e pesticidi, ma secondo le regole della agroecologia. Anche i produttori che forniscono al Molino le farine coltivano con le stesse regole e utilizzano concimi biologici forniti dalla famiglia Sammartino.

Ma la famiglia Sammartino ha un obiettivo ben più ambizioso della sola salvaguardia e perpetuazione della tradizione della cuccìa legata al culto di Santa Lucia: consacrare la cuccìa come piatto tradizionale da gustare in tutte le stagioni arricchito con i condimenti più disparati: con legumi e brodo di verdure o carne o come piatto freddo in insalata con salsiccia, formaggi e verdure (cliccare qui per la ricetta che abbiamo pubblicato nella rubrica A Tavola).

«L'idea è di mio padre, Tano Sammartino (nella foto a destra)», precisa Giuseppe Sammartino. «Gli venne all'improvviso durante un viaggio in Toscana quando si trovò a mangiare una bella zuppa di farro e si dolse del fatto che i toscani sapessero valorizzare i cereali della loro terra e i siciliani no. Fu allora che scommise con se stesso che avrebbe fatto della cuccìa un piatto tipico, una vera specialità della gastronomia siciliana da portare in tavola tutti i giorni dell'anno con i condimenti stagionali».

E tra coloro a cui i Sammartino hanno sottoposto i loro piatti a base di cuccìa c'è Bruno Barbieri, noto chef, che ne ha apprezzato il sapore durante un contest di cucina organizzato a Caltagirone.

«Quest'anno, a causa della emergenza sanitaria legata alla epidemia da Covid-19, al Molino Crisafulli non si potrà tenere come ogni anno la tradizionale Festa della Cuccìa, in occasione della quale tutti sono graditi ospiti della famiglia Sammartino perché offriamo gratuitamente le nostre specialità a base di cuccìa per diffondere la cultura gastronomica più antica della Sicilia. La nostra azienda, con lo stesso spirito, ha offerto cuccìa pronta da gustare in occasione di eventi pubblici e nelle scuole per diffondere la conoscenza di questo piatto della tradizione popolare siciliana. Con piacere ha più volte contribuito a raccolte a scopo di solidarietà».

Come è nata la tradizione di mangiare la cuccìa per Santa Lucia? A noi piace raccontarlo con una antica preghiera in lingua siciliana tramandata per generazioni e generazioni dai nonni che la recitavano ai nipotini.

Foto: Archivio Molino Crisafulli Società Cooperativa Agricola a r.l.

 

IL MIRACOLO DI SANTA LUCIA

Mi rissi me nanna, quann'era nica:

“Ora ti cuntu 'na storia antica”.

'Ncapu li ammi mi fici assittari

e araciu araciu si misi a cuntari:

“Ci fu 'na vota, a Siracusa

'na caristìa troppu dannusa.

Pani 'un cinn'era e tanti famigghi

'un n'arriniscìanu a sfamari li figghi.

Ma puru 'm menzu a la disperazioni

'un ci mancava mai la devozioni

e addumannavanu a Santa Lucia

chi li sarvassi di la caristìa.

Un beddu jornu arrivau di luntanu

rintra lu portu siracusanu

'na navi carrica di furmentu

a liberalli ri 'ddu tormentu.

Pi li cristiani la gioia fu tanta

chi tutti vuciavanu “viva la Santa!”,

picchì fu grazii a la so 'ntercessioni

ch'avìa arrivatu 'dda binirizioni.

Tutti accurrìanu a la marina,

ma era furmentu, 'un n'era farina

e cu 'u pitittu ch'un facìa abbintari

'un c'era tempu di iri a macinari.

Pi mettisi subitu 'n'sarvamentu

avìanu a cociri lu stessu furmentu

e pi la forma “a coccia” ch'avìa

accuminciaru a chiamalla “cuccìa”.

La bona nova arrivau luntana

e pi sta màrtiri siracusana

fu accussì granni la venerazioni

chi fici nasciri 'na tradizioni.

Passau lu tempu di la caristìa

e arristau l'usanza, pi Santa Lucia,

di 'un fari pani, di 'un cociri pasta,

e di manciari la cuccìa e basta.

Ma lu sapemu, ci voli picca

e l'usanza di scarsa addiventa ricca.

A ognunu ci vinni la bedda pinzata

di priparalla chiù elaborata.

Cu ci mittìa lu biancumanciari

e cu vinu cottu ci vosi 'mmiscari.

Cu ci vulìa lu meli ri ficu

e tanti atri cosi chi mancu ti ricu.

Ma je vulissi sapiri, a la fini,

di runni spuntaru li beddi arancini?

E m'addumànnu di quali manu

nasceru panelli e risattianu”.

E a mentri chi me nanna si sfirniciàva,

a mia 'u stommacu mi murmuriava

e mi ricordu chi ci avissi rittu:

“Me nanna, zittemuni ch'haiu pitittu!”

 

Morale: a storia insegna

ca si stainnata esageri

nun jè cchiù devozione ma manciunaria...

 


 

Mi disse mia nonna quand'ero bambina:

“Ora ti racconto una storia antica”.

Sulle sue gambe mi fece sedere

e adagio adagio ha cominciato a raccontare:

“C'è stato un tempo, a Siracusa,

una carestia troppo rovinosa.

Non c'era pane e tante famiglie

non riuscivano a sfamare i figli.

Ma nonostante la disperazione

non mancava mai la devozione

e chiedevano a Santa Lucia

di salvarli dalla carestia.

Un bel giorno arrivò da lontano

nel porto siracusano

una nave carica di frumento

a liberarli da quel tormento.

Per i cristiani la gioia fu tanta

che tutti gridavano “viva la Santa!”,

poiché fu grazie alla sua intercessione

che c'era arrivata questa benedizione.

Tutti correvano alla marina,

ma era frumento, non era farina

e con la fame che non lasciava riposare

non c'era tempo per andare a macinare.

Per mettersi subito in salvo

dovevano cuocere il frumento

e per la forma a “chicchi” che aveva

cominciarono a chiamarlo “cuccìa”.

La buona notizia arrivò lontana

e per questa martire siracusana

fu così grande la venerazione

che fece nascere una tradizione.

Passò il tempo della carestia

e rimase l'usanza, nel giorno di Santa Lucia,

di non fare pane, di non cuocere pasta,

ma di mangiare la “cuccìa” e basta.

Ma lo sappiamo, basta poco

che l'usanza da scarsa diventa ricca.

A qualcuno venne la bella idea

di prepararla più elaborata.

Chi ci aggiungeva il biancomangiare (un tipo di crema bianca)

e chi voleva mischiare il vino cotto.

Chi voleva aggiungere il miele di fico

e tante altre cose che neanche ti dico.

Ma io vorrei sapere, alla fine,

da dove sono spuntati i begli arancini?

E mi domando da dove sono spuntate

le panelle e le crispelle di riso”.

E mentre mia nonna si dilungava,

a me lo stomaco borbottava

e mi ricordo di averle detto:

“Nonna smettiamo di parlare che ho fame!”

 

Morale: la storia insegna

che se oggi esageri

non è più devozione ma ingordigia...

 

 

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