
Il Monastero di Palma di Montechiaro e la tradizione dei dolci di mandorle delle suore benedettine

A Palma di Montechiaro (AG), piccolo paese dell'agrigentino svuotato da un'emigrazione senza fine verso la Germania, il Monastero del SS. Rosario, costruito tra il 1653 e il 1659 e dedicato all’Ordine di San Benedetto, è un luogo che non passa inosservato e non solo per la sua collocazione, in cima a una gradinata semicircolare ed impervia che si erge su una piazza di forma quadrata.
È questo uno dei pochi monasteri di clausura in Sicilia il cui accesso è impedito quasi a chiunque. È diventato noto nel mondo a seguito della pubblicazione del capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo. La storia di questo luogo spirituale si intreccia con quella della famiglia del noto scrittore: Isabella (suor Maria Crocifissa della Concezione, la Beata Corbera de Il Gattopardo), figlia secondogenita del Duca Giulio Tomasi (fondatore di Palma di Montechiaro), visse, proprio in questo luogo sacro, una straordinaria esperienza spirituale e mistica. Si racconta che il demonio le consegnò una lettera per tentarla ma lei resistette. Per anni questa lettera, oggi esposta nella torre della Cattedrale di Agrigento (ma una copia si trova nel monastero di clausura di Palma di Montechiaro), è stata oggetto di studi e di ricerche mai del tutto risolte; la sua suggestione è talmente forte da avere spinto Giuseppe Tomasi di Lampedusa, a parlarne, appunto, nel suo romanzo capolavoro.
Questo luogo, essenziale nella sua architettura con finestre prive di decorazioni, oltre ad essere luogo di fede e simbolo di una memoria storica che appartiene a tutti noi, custodisce innumerevoli opere d’arte. Al suo interno trovano posto, ad esempio, preziosi gruppi scultorei in legno e dipinti di importanti pittori del Seicento e del Settecento siciliano come Filippo Randazzo ed Ottavio Volante.
All'interno delle mura di questo monastero vive una piccolissima comunità di monache, le cui giornate passano scandite da preghiera e lavoro. Quello che accade fuori le mura arriva filtrato e solo in minima parte, tramite coloro che vanno a comprare i dolci a base di mandorle siciliane che le suore preparano e che rappresentano la loro principale forma di sostentamento. Il resto è solo silenzio e meditazione.
L'acquisto dei dolci è un vero e proprio rito che è rimasto immutato nel tempo. Occorre suonare al campanello accanto alla ruota in legno (la "rota degli esposti" dove i neonati abbandonati venivano “esposti” alla carità delle suore) e aspettare che il portone venga aperto per consentire di accostarsi a una finestra protetta da una robusta grata, quindi bisogna attendere che compaia una suora dietro quella grata, indicarle i tipi e le quantità di dolci da acquistare e consegnarle il relativo importo. Dopo pochi minuti la ruota gira e compaiono i dolci ben confezionati in appositi vassoi con carta rosa.
Sono rimaste solo tre monache di clausura: suor Maria Nazzareno, 73 anni di cui 61 di vita claustrale, la cugina suor Maria Rosaria e poi suor Raffaella, la più giovane. La crisi delle vocazioni si è fatta sentire pure qui: non ci sono novizie e in tre devono quindi gestire un monastero così grande ed imponente. «Decenni addietro arrivammo anche ad essere quaranta monache qui dentro, ora, invece, siamo solo in tre», racconta suor Maria Nazzareno.
Suor Maria Nazzareno è la badessa e, per una pura casualità, si trova in monastero con la cugina. Sono entrambe di Palma di Montechiaro e la loro vita l'hanno vissuta quasi interamente lì dentro: «Quando avevo sette anni venni insieme a mia zia qui dentro per incontrare mia cugina che era già novizia e rimasi colpita dal crocifisso che poi iniziai a sognare tutte le sere», ricorda suor Maria Rosaria. La vocazione è nata così e da lì a poco anche lei entrò in monastero senza mai più uscire.
Se la crisi delle vocazioni ha colpito anche questa comunità un tempo assai florida, non si è persa, invece, la tradizione dei dolci conventuali. Il monastero è uno dei pochissimi in Sicilia dove ancora c'è una produzione artigianale fatta dalle monache. Biscotti ricci, ricciarelli, muccuneddi, paste nuove, pasta reale col cedro, torrone morbido con mandorle e pistacchio. Un tripudio di bontà, dolcezza e spiritualità che esce dalle mani sapienti delle tre monache impegnate in cucina.
«La preparazione dei dolci avviene ogni settimana. Poi, li vendiamo a chi viene a trovarci, consegnando i vassoi tramite la ruota che ci consente anche di ricevere i doni delle persone», sottolinea suor Maria Nazzareno.
Le tre monache vivono infatti di carità e le offerte provenienti dalla vendita dei dolci consentono loro di autosostenersi. «C’è chi ci regala le mandorle, altri ancora derrate alimentari che ci servono per preparare i dolcetti», spiega suor Maria.
La base dei dieci tipi di dolci che vengono preparati sono le mandorle rigorosamente siciliane, poi trasformate in paste grazie ad antichissime ricette. Poiché la farina di mandorle viene adoperata in purezza e non viene fatto uso di latte o suoi derivati, queste delizie sono perfette anche per chi ha la celiachia o ha intolleranza al lattosio. Tutto l'anno si può anche trovare la frutta martorana, a Pasqua, invece, gli agnelli di pasta reale.
La chiesa annessa al convento viene aperta al pubblico per le funzioni religiose, ma le tre monache rimangono sempre dietro le grate a pregare, prima di tornare a lavorare in cucina per preparare le delizie da vendere a chi va a trovarle. Il loro sorriso si scruta tra le doppie grate, segno del confine tra la vita comune e quella claustrale dedicata alla preghiera e ai dolci.
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