Giornata mondiale salute e sicurezza sul lavoro: per non dimenticare

Autore:
Andrea Cuscona
28/04/2016 - 12:54

IL COMMENTO - “Il lavoro nobilita l'Uomo” ma ancora troppo spesso, nel 2016, lascia vittime sul campo. Il 28 aprile è la Giornata Mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, istituita per richiamare l’attenzione sul tema della sicurezza in quest'ambito: ma oltre ogni possibile veste cucita addosso alla ricorrenza si deve riflettere ed agire, per arginare un fenomeno che in un sistema civile e progredito non dovrebbe sussistere.

Si parla ancora, con poco rispetto della verità sostanziale dei fatti, di “morti bianche”, laddove l'aggettivo "bianco" allude all'assenza di una mano direttamente responsabile dell'incidente. Ma sappiamo bene che le responsabilità esistono, sono accertabili, hanno nomi e cognomi e non sono certo frutto della casualità.

Se tutto questo ci sembra già spropositato pensiamo alla drammatica situazione dei malati per cause di lavoro. Anche qui si parla di migliaia di lavoratori colpiti da patologie di ogni tipo.

Di esempi ve ne sono in quantità: basti pensare ai poli petrolchimici di Augusta e Gela in Sicilia, l'Ilva di Taranto, il caso Thyssenkrupp e quello Eternit, tutti i lavoratori del comparto agricolo avvelenato da pesticidi di ogni tipo o quelli che si ammalano per l'esposizione ai campi elettromagnetici. Ne citiamo solo alcuni ma la lista è lunga. Il tema scelto quest’anno per la Giornata è “Salute e sicurezza nell’utilizzo di prodotti chimici sul lavoro” ed è facilmente immaginabile la molteplicità di agenti chimici con cui migliaia di lavoratori si trovano ad operare: vernici tossiche in vari settori, amianto nei cantieri, esalazioni di sostanze metalliche nelle acciaierie, dai pesticidi che migliorano il rendimento e la qualità della produzione alimentare, ai farmaci per curare le malattie, ai prodotti di pulizia che aiutano a stabilire condizioni di vita igieniche, le sostanze chimiche sono diffusissime nell'industria, purtroppo e il loro uso massiccio è fonte di malessere per l'ambiente e la salute.

Si parla di malattie professionali (tecnopatie) per tutte quelle patologie che si sviluppano a causa della presenza di stimoli nocivi in ambienti lavorativi. Sono moltissime e tabellate (classificate) ufficialmente: http://www.wikilabour.it/GetFile.aspx?File=20080721_GU-169_ElencoMalattieProfessionaliTabellate.pdf

Malattie da agenti chimici, fisici e biologici, dell'apparato respiratorio, della pelle, psichiche e somatiche, tumori. A queste vanno aggiunte quelle non tabellate, per le quali il lavoratore deve provare l'origine professionale, con tutto quello che ne consegue in termini di iter burocratici e odissee mediche.


Purtroppo il lavoratore è, nella maggior parte dei casi, l'anello debole del sistema. Nonostante le leggi in vigore impongano l'uso di dispositivi di protezione individuale, ambienti a norma, strumenti e macchinari controllati e revisionati periodicamente, orari e turni consoni allo stress da carico di lavoro, controlli medici periodici, chi lavora continua ad ammalarsi e morire. Nella maggior parte de casi sono i datori di lavoro che per risparmiare sui costi, eludere i controlli o altro creano le condizioni che portano i dipendenti al rischio. Altre volte sono disattenzioni o mancato rispetto di alcuni obblighi da parte dei lavoratori a causare il danno per sé e gli altri.

Insomma, la tutela dei lavoratori resta, ad oggi, qualcosa di scritto su carta e nonostante il Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (d.lgs 9 aprile 2008 n. 81, entrato in vigore il 15 maggio 2008) questa non viene garantita e i controlli non sono così serrati come ci si attenderebbe.

I dati, a livello mondiale, sembrano dei bollettini di guerra e bisogna considerare che le cifre resteranno sempre sottostimate per le difficoltà delle rilevazioni in varie realtà territoriali. Proviamo, però, a dare i numeri: circa due milioni di morti annualmente nel Mondo, di cui circa 12mila bambini. L'Italia, nel decennio 1996-2005, è risultato il paese con il più alto numero di morti sul lavoro in Europa eccetto i primi due anni e si sono avuti circa 30mila infortuni all'anno, con danni permanenti, dal dopoguerra ad oggi (ridotti poi a 20mila annui dagli anni Ottanta in poi). Sono poi circa 270 milioni gli incidenti con danni temporanei all'anno nel mondo, 600mila nel nostro Paese.

In questo 2016 sono già oltre 170 le “morti bianche” in Italia. Ma anche in questo campo c'è una vera “guerra dei numeri” con l’Inail che da 10 anni ci dice che gli infortuni e le morti sul lavoro sono in calo, mentre l’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti sul lavoro ci dice che sono in aumento continuo e che nel 2015 hanno superato quota 1400.

Ci fermiamo qui con le cifre, non entriamo nel merito delle valutazioni statistiche ma è giusto che ogni lettore si fermi a riflettere su queste stragi quasi silenti, per le quali non ci sono mobilitazioni, sdegno e prese di coscienza reali nella nostra società sempre più anestetizzata rispetto al dolore e alla morte. Si parla di numeri vicini a quelli legati alle vittime di conflitti o per povertà su scala mondiale e superiori a quelle legate al terrorismo.

Eppure, la voce delle vittime del lavoro è flebile, si spegne nel frastuono assordante di tante chiacchiere e iniziative pro sicurezza, non viene ascoltata dagli organi competenti e piano piano, giorno dopo giorno, facciamo la conta di chi esce di casa per guadagnare il pane onestamente e non torna più o torna ammalato.

Tutto ciò è accettabile? Il finale è volutamente aperto.

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