"Non succede", poi accade: sversamenti di petrolio, analisi e retroscena

Autore:
Francesca Romana Golino
26/04/2016 - 10:28

Dal Messico alla Liguria, passando per il Perù. Gli sversamenti di petrolio in mare, nelle acque e nei suoli spesso sembrano eventi lontani, accaduti in luoghi distanti dalla nostra vita quotidiana. Ora è proprio qui, sotto i nostri occhi: non si tratta del famoso "effetto farfalla" che si avvera, o della nostra madre terra che è un sistema di interazioni complesse, in cui tutto ci riguarda. I cieli e le acque genovesi, il Rio Fegino ed il torrente Polcevera, hanno ricevuto 600 metri cubi di sostanza oleosa che ha lambito quattro chilometri di sponde, successivamente 28 km.di coste, con una macchia di petrolio galleggiante tra Genova e Savona (fonte: regione Liguria).

La perdita si è verificata a meno di ventiquattro ore dalla chiusura delle urne dei referendum "antitrivelle", la sera del 18 aprile 2016. E chissà quale sarebbe stato l'esito se l'incidente fosse accaduto solo il giorno precedente. Ma Genova è solo un esempio, forse quello che diventerà un triste modello. Cosa accade nell'ambiente e per la popolazione quando lo sversamento staziona a pochi metri dalle case, dalle scuole e dalle strade di un quartiere? Sono emerse tre questioni, tutte e tre non di poco conto: un buco normativo per la soglia di tossicità di sostanze di cui si presuppone la presenza solo in impianti industriali; la qualità dei rimedi che si mettono in atto ad incidente avvenuto, che sembrano non essere né risolutivi né i più efficaci, dato che la massima efficacia si ha quando sono stati studiati tutti gli scenari possibili in una data zona.

Infine il non secondario problema dei controlli e delle regole applicati alle industrie petrolifere.

 "Gli idrocarburi saturi e leggeri, come il metano, il propano ed il butano non hanno una tossicità diretta, il danno è a lungo termine, perché possono avere reazioni chimiche in atmosfera, oltre ad essere ovviamente infiammabili; e questo è uno dei motivi perché li coprono con le schiume" - spiega il professor Gianluigi de Gennaro, docente di chimica I all'università di Bari e coordinatore del gruppo interdivisionale "Scienze e tecnologie dell'areosol", della società chimica italiana - "invece sostanze come l'idrogeno solforato sono tossiche a breve termine, un greggio con forti quantitativi di zolfo può sprigionare H2S (la sigla chimica della sostanza). Tracce di idrogeno solforato possono rimanere anche nel greggio che è stato già sottoposto al trattamento di idro-desulfurizzazione (operazione che elimina lo zolfo, di solito eseguito sul luogo di estrazione, ndr). Le sostanze inorganiche solforate, degradandosi, producono idrogeno solforato. Anche il benzene ed il toluene, sostanze cancerogene perché idrocarburi aromatici, sono contenute nel greggio, non solo nelle benzine raffinate. Potrebbero esserci accessi al pronto soccorso per queste sostanze, specialmente se c'è il bruciore agli occhi. I primi sensori non sono gli strumenti e le centraline, ma le persone. Se l'odore è fastidioso, anche se non c'è danno biologico, quella è già una molestia; ed è il concetto che abbiamo cercato di trasmettere con il progetto Odortel in Puglia".

Sembra incredibile, ma per sostanze come l'idrogeno solforato, liberatesi aldifuori degli impianti, non ci sono limiti certi. "Per definizione" certe sostanze si trovano dentro gli impianti, e lì vige il TLV (threshould limit value; valore limite di soglia, ndr): una tabella che riporta precisi limiti d'esposizione ad ogni sostanza tossica a cui si può essere esposti in ambito lavorativo. Ci sono anche precisi intervalli di tempo dopo ogni esposizione. Su ogni tabella TLV campeggia però la dicitura che non si può assolutamente utilizzare come riferimento per l'inquinamento ambientale. Eppure sarebbe l'unico parametro disponibile, perché gli abitanti di Borzoli (utilizzando Genova come esempio) sono stati esposti alle sostanze ben più di otto ore al giorno. Nonostante i comunicati rassicuranti, i residenti nel quartiere hanno lamentato bruciore ad occhi e gola, nausea, mal di testa.

 

"Esisteva un vecchio limite di 300 milligrammi per metro cubo, ma è stato abolito perché si riteneva che nei centri abitati non si potessero produrre certe condizioni, e che i costi di monitoraggio sarebbero stati troppo alti, col beneplacito dell'Europa - specifica il professor de Gennaro - Comunque quando siamo alle panne e alle schiume si è al capezzale del morto. Le schiume solubilizzano, e precipitano la sostanza sul fondale. Eppure non sono un semplice maquillage: servono per rendere meno disponibile al biota il greggio, e non farlo raggiungere dalla luce. Poi si spera che il sedimento sul fondo venga biodegradato dal corpo recettore. In certi casi è meglio avere delle persone che spalano, dipende dalla concentrazione. Ovviamente la capacità di smaltimento cambia, una cosa è se il corpo recettore è un laghetto oppure un oceano. Il danno non è solo alla biodiversità, ma per ciò che entra nella catena trofica. In termini brevi e medi c'è comunque un danno, anche in caso di una bonifica veloce. Poi ci dovrebbero essere verifiche di efficacia per la rimozione e messa in sicurezza. Senza contare che ci sono delle tecnologie, brevetti italiani, che permettono di separare la parte acquosa da quella oleosa (Waterwall e Disolea, ndr). Un sistema che è stato utilizzato anche nel disastro del Golfo del Messico. Utilizzare o no la tecnologia migliore dipende dalla conoscenza dei tecnici, e dalla disponibilità delle risorse".

Attualmente si ipotizzano due cause per la rottura della tubatura che trasporta il greggio dal porto petroli genovese alla raffineria Iplom: cedimento strutturale (pare che le tubature avessero circa 50 anni) o una frana, che avrebbe provocato la rottura della tubatura. Ecco, la frana. Uno degli scenari prevedibili. Si chiama studio del Na-tech, ovvero del "natural-technological interaction".

E' una priorità segnalata dalla comunità scientifica internazionale per le industrie a rischio di incidenti rilevanti (RIR), dopo quello che provocò il maremoto giapponese con la centrale nucleare di Fukushima. Uno dei primi ad essersi occupato di Na-tech in Italia è il professor Ernesto Salzano, titolare della cattedra "Impianti chimici" come associato all'ateneo di Bologna, presso il dipartimento di ingegneria civile, chimica, ambientale e dei materiali: "Se fosse valida la seconda ipotesi, quello di Genova sarebbe un pieno Na-tech: la frana ha provocato la rottura, e quindi lo sversamento. Viene anche detto "effetto domino". Dopo Fukushima tutti i parametri sono cambiati. Lo studio Na-tech è fondamentale per le aziende che ricadono nella normativa Seveso 3, quella che riguarda gli stabilimenti a rischio d'incidente rilevante, ma è obbligatorio da un paio di anni. Tutte le aziende che hanno in scadenza il rapporto di sicurezza lo dovrebbero inserire. Questo rapporto devono consegnarlo al CTR, il comitato tecnico regionale. Il rapporto non è pubblico, per vari motivi tra cui quelli di sicurezza, e segretezza industriale. Però un estratto semplificato viene distribuito ai sindaci; inoltre la normativa Seveso prevede una scheda informativa per la popolazione.

Quindi è semplice: basta andare dal sindaco e chiedere cosa c'è scritto nel suo estratto. Quello che conta è valutare il peggior caso possibile, in modo che sindaco, prefettura, vigili del fuoco ed altre agenzie possano preparare un piano di emergenza esterna all'impianto. Le probabilità di avere un incidente innescato da un evento naturale, in Italia, sono molto maggiori del semplice incidente industriale, perché i meccanismi di sicurezza delle imprese sono alti. Per quanto riguarda i limiti di tossicità nell'ambiente, il TLV (valori limite di soglia) potrebbe essere un valore di riferimento. C'è anche l'IDHL (immediately dangerous to life and health, cioè pericolo immediato per la salute o la vita; un altra tabella che riporta il limite massimo di esposizione per ogni sostanza tossica, ndr). Per esempio prima la protezione civile aveva come riferimento l'IDHL o frazione di esso. Facciamo un esempio sul benzene: la protezione civile aveva come riferimento un decimo del valore di tossicità riportato nella tabella IDHL. Adesso quell'ufficio è stato accorpato, non esiste più". Nel congedarsi il professore lascia un suggerimento: "Basta cercare su internet le cartine delle zone sismiche e di quelle a rischio idrogeologico, non so se rendo l'idea".

Sull'importanza degli scenari Na-tech insiste anche un uomo della protezione civile, il dottor Giuseppe Guarino, presidente e responsabile scientifico della protezione civile "Gruppo Lucano", in pratica hanno a che fare col famigerato centro oli di Viggiano. Bisogna specificare che il dott.Guarino proviene anche dal settore, in quanto è stato general manager alla Schlumberger, multinazionale francese che opera nei servizi alle aziende estrattive. "La mia impressione è che spesso si chiuda la stalla dopo che i buoi sono scappati. Lo studio degli scenari possibili è un tema di grande attualità. In Val d'Agri ci sono impianti in zone sismiche, per esempio. Un impianto è a monte della diga che rifornisce d'acqua Basilicata e Puglia. Nelle aree interessate da questi  impianti la conoscenza geologica del terreno è fondamentale. I sistemi automatici di blocco, i cosiddetti "shutdown" (valvole di arresto,ndr), dovrebbero intervenire subito. La cosa che mi lascia perplesso è che una frana comporti uno sversamento importante (si parla di 20' prima della chiusura del flusso,ndr). La geologia dei territori si conosce molto bene, specialmente in Liguria, che è a rischio idrogeologico. Si possono fare le cose in grande sicurezza, ma costa. Ridurre i costi è ciò a cui tende l'azienda, naturalmente. Se c'è una commistione tra chi controlla e chi deve essere controllato.... In Italia l'impressione è che avvenga questo. La legislazione italiana non è male (Decreto Legislativo 26 giugno 2015, n. 105 - attuazione della direttiva 2012/18/UE relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose, ndr), ma poi bisogna applicarla. Si dovrebbero assumere professionalità internazionali per effettuare i controlli. Preferibilmente non italiani, si. Nonostante alcune competenze siano tornate al governo, col decreto Sblocca Italia, le cose non cambiano. Queste compagnie sono potenti. All'estero si pagano royalties del 30-40 o anche 70%, in Italia siamo circa al 7%. Un caso unico al mondo. Eppure in Italia tutto ciò che è nel sottosuolo appartiene allo Stato, che è mediatore per i cittadini".

Reagire alla mala gestione del petrolio in quanto bene comune, come l'acqua, visto che ha prevalso la politica energetica ancorata ai combustibili fossili? Persino questo. Intanto "il bene comune", dopo aver sorpassato le barriere crollate del Polcevera, si è riversato in mare. Ai posteri l'ardua sentenza.

 

Foto presenti nell'articolo di Pierpaolo Giordano per ISPRA

 

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