Una femminilità che scuote le coscienze: lo sguardo poetico di Mario Rapisardi sulla Beatrice di Dante

Autore:
Agata Damante
03/02/2022 - 02:13

Mario Rapisardi, poeta, artista e intellettuale catanese dell’Ottocento, oltre ad aver dato un contributo pregevole alla letteratura di ogni tempo, ha dato spazio, all’interno dei suoi scritti, ad alcune donne illustri della storia, tra queste la Beatrice dantesca. La dimensione della femminilità è stata indagata nel corso dei secoli sotto varie lenti d’ingrandimento, dalla letteratura alle arti, la donna è essa stessa la sublimazione dell’immagine della natura. Attraverso un intricato viaggio dantesco, incanta i popoli di ogni tempo, storico e spirituale. Una delle figure più suadenti di ogni tempo ci condurrà all’interno di una duplice immagine femminile, emotiva e seduttiva da una parte, intellettiva e ratiocentrica dall’altra.

Mario Rapisardi, il vate catanese, colui che con il suo Lucifero ha spogliato di vari orpelli la modalità di scrittura ottocentesca, ha raccontato una nuova e rinnovata Beatrice di Dante all’interno di uno dei suoi più affascinanti autografi1.

La Beatrice di Dante è uno studio del poeta la cui importanza risiede non tanto nel tracciare i tratti salienti della protagonista, ma quanto nella visione inedita di Essa come specchio di Dante. Beatrice è donna vera e amata dall’Alighieri al punto da mutare pian piano nell’anima del Sommo stesso, diventarne cioè un simbolo, un’allegoria. Visione autoctona e del tutto rivoluzionaria del tema classico dell’amore tra Beatrice e Dante, alla luce di una filosofia panteista che miscela positivismo romantico a fulgore naturalista.

Beatrice nelle sue umane sembianze è stata indagata anche nell’arte, ne è un esempio il dipinto di Guttuso sopra riportato, in cui esso ne delinea le forme del volto e del corpo, che si propendono oltre la tela, invadono lo sguardo attonito di chi lo ammira, con dettagli spiccatamente pervasivi di una donna che nessuno può esimersi di mirare. I colori accesi dei suoi abiti contribuiscono a renderla eterea, ma non le tolgono una materialità sublime che si lascia attraversare anche nella bellezza del volto.

Il ragionamento rapisardiano comincia dalla citazione a supporto delle sue tesi di alcuni passi del Purgatorio, precisamente tratti dai canti XXX e XXXI, dove Beatrice da carne muta in spirito e le sue belle membra, dentro le quali era rinchiusa, appartengono adesso alla terra. Beatrice era quindi donna in ogni sua sembianza, figlia di Folco Portinari, “uomo assai orrevole in que’ tempi tra’ cittadini”. Beatrice, o Bice come la chiamavano al tempo, nacque verso la metà del 1266, era di quelle bellezze gracili e delicate che rivelano le più dolci attrattive del sentimento d’amore.

Alle notizie sulla vita vera e propria dell’angelo amato da Dante, seguono le tesi di Rapisardi: secondo quest’ultimo il matrimonio con un certo Messer Bardi contribuì ad affievolire la salute di Beatrice, che era sempre più dimessa negli abiti e sempre più fragile nelle fattezze, una mestizia che tocca il cuore dell’amato che sente forte il dolore di un amore irrisolto e così cerca di averne cura, anche al costo di sacrificarne la materialità, assoggettandola al paterno conforto. Beatrice quindi sparisce in Dante e assume in lui la bellezza cangiante di un animo inquieto e mutevole. La beltà di una donna consumata da un morbo che la divora, la voluttà mutevole di un tempo che sta per scadere, Dante avverte il presentimento di morte dell’amata ma non può sottrarla al suo destino e sitravaglia”, può però affrancarla da quella che rapisardianamente si definisce una vertiginosa attrattiva degli abissi. Ma per Mario non è una frivola passione, bensì un amore di “nobilissime virtute” in cui si ragguagliano le facoltà dell’intelletto e quelle del cuore, perché se tanti pregevoli sentimenti evoca in chi la guarda figuriamoci nel cuore dell’amato.

Un dramma intimo i cui i protagonisti sono paragonati a due ruscelli che sgorgano per lo stesso verso ma frenati dagli argini della società, e se da un lato Beatrice viene adombrata dalle dissertazioni del loro tempo, dall’altro l’animo di Dante è un potente laboratorio, nel quale man mano la figura di Beatrice si assottiglia e diventa sempre più Eterea. Un amore dunque sì triplice in quanto composto di sentimento, ragione e fede ma, ed ecco l’ultima tesi del Poeta catanese, è un errore volerlo distinguere perché esso è Uno e soltanto Uno che segue il corso del divenire della Natura e del carattere di Beatrice, sempre più schivo.

In molti, secondo il Nostro, non si sono capacitati del fatto che il Divino Dante potesse amare una semplice creatura mortale e così hanno delirato di metafore e allegorie. E così Beatrice dalla terra si sposta in cielo e nel cuore del poeta. L’impotenza dell’amore dunque di fronte alla Natura più forte e severa, che ne piega le trame alle sue spietate leggi. Ecco che Beatrice è l’emblematico fulcro di un desiderio che seppur svela la sua essenza spirituale ne cela la dimensione carnale e sensoriale.

Ogni donna può essere Beatrice, e, seppur anche nel nostro tempo si lascia attraversare dall’amore, è incomprensibile l’immagine alquanto cedevole che di essa ne fanno in larga parte la letteratura o le dissertazioni in generale. Beatrice rimane uno spirito forte, che non si annienta nella bellezza dantesca, ma oltrepassa i limiti di quel desiderio e si impone allo sguardo attento di chi ne sa cogliere la sua pregevole essenza.

Una donna contemporanea nella cui bellezza ed essenza ogni altra donna può rispecchiarsi.

 

Nota

1) La Beatrice di Dante. Studio. Autografo. È uno studio di 70 carte, (le ultime due sono mezze verticali) Misurano 32x21.

Segnature: Biblioteca Museo M. Rapisardi Rap. Mss. A. 22.

La Beatrice di Dante, Estratto da: Rivista Europea, Rivista Internazionale. Nuova Serie anno VIII, 16 agosto 1877, Firenze Tipografia della Gazzetta d’Italia, vol. III, Fasc. IV pagg. 577 - 613

Segnature: Biblioteca Museo M. Rapisardi Rap. M. 43.13.

 

Per approfondire

https://it.wikisource.org/wiki/La_Beatrice_di_Dante

 

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