
Glifosato: l'Istituto “Ramazzini” avvierà uno studio indipendente
BOLOGNA – Molti ricorderanno che lo scorso 7 marzo i 28 Stati membri dell'Unione Europea avrebbero dovuto riunirsi a porte chiuse per valutare la proposta della Commissione Europea di estendere, fino al 2031, l'autorizzazione del glifosato nei pesticidi in uso nell'agricoltura. Ne abbiamo parlato qui: http://www.ilpapaverorossoweb.it/article/unione-europea-ancora-libera-al-glifosato-nei-pesticidi.
Ebbene, la riunione non si è svolta ed è stata rinviata. Per quale motivo? Ci sono pareri discordanti sul rischio di cancerogenicità dell'erbicida: per l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) "è improbabile che sia cancerogeno" mentre per l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e l'Agenzia per la Ricerca sul Cancro (IARC) è "probabilmente cancerogeno". Questa la sintesi delle due posizioni contrapposte che ha portato allo slittamento della riunione tanto attesa da numerosi stakeholders, ovvero “portatori di interesse”, quali le aziende che utilizzano pesticidi ma – soprattutto – da parte della comunità scientifica, dal mondo dell'associazionismo e da milioni di cittadini desiderosi di sapere se il glifosato sia cancerogeno o meno.
Dunque, la partita è ancora aperta e sullo scacchiere internazionale non si muove nessuna pedina. Bruxelles, da un lato, non può permettersi il lusso di temporeggiare fino a giugno, quando scadrà l'autorizzazione in corso (quella che la Commissione vorrebbe rinnovare fino al 2031). Nell'attesa l'UE ha chiesto agli esperti dei 28 Paesi membri di inviare, entro il 18 marzo, le proposte di modifica al testo in discussione. La questione sarà di nuovo sul tavolo del prossimo comitato europeo in programma il 18 e 19 maggio ma la riunione potrebbe essere anticipata.
Tuttavia la notizia significativa, in questi giorni, è che l'Istituto “Ramazzini” di Bologna - il più importante istituto privato di medicina del lavoro che si è distinto spesso per scelte coraggiose in difformità con la stessa Società Italiana di Medicina del Lavoro (SIMLii) - ha annunciato di avviare a maggio una propria ricerca indipendente sul glifosato.

Per fare chiarezza, attraverso un corpus di studi indipendenti, e consentire a EFSA e IARC di trovare una posizione comune che possa portare ad un pronunciamento europeo arriva dunque la ricerca annunciata dallo storico istituto felsineo.
Abbiamo, dunque, contattato il “Ramazzini” che ci ha offerto la possibilità di intervistare la dottoressa Fiorella Belpoggi, direttrice del Centro di Ricerca sul Cancro “Cesare Maltoni” presso l'Istituto “Ramazzini”:
L'Istituto Ramazzini ha annunciato di voler portare avanti, da maggio, uno studio sperimentale in vivo che riguarda il glifosato e i suoi effetti sulla salute: come si articolerà?
«L’Istituto si sta occupando del glifosato da 4 anni: scienziati di tutto il mondo hanno collaborato alla stesura del protocollo che permetterà di valutare e identificare con un unico esperimento e un evidente risparmio di animali sperimentali (ratti), i rischi correlati al glifosato, somministrato nell’acqua da bere a dosi paragonabili a quelle attualmente ammesse nell’uomo, sia negli USA che in Europa (dosi oggi considerate senza rischio). Verrà utilizzato un modello uomo equivalente dove l’esposizione inizierà durante la gestazione delle madri; saranno valutati gli effetti tossici anche in termini di espressione genica e i parametri relativi alla fertilità, ai difetti dello sviluppo, ai trend di crescita. Ed infine saranno valutate le eventuali differenze dell’incidenza dei tumori correlate al trattamento con glifosato. In maggio partiremo con una fase preliminare che ci permetterà di consolidare e validare le metodologie utilizzate per il dosaggio del composto nei diversi tessuti e liquidi biologici, nonché gli effetti sulla flora batterica intestinale e sulla vitalità dello sperma negli animali trattati rispetto a quelli di controllo».
Perché uno studio sul glifosato? Come mai non esistono ancora pronunciamenti univoci su una sostanza di così largo uso nell'agricoltura mondiale?
«L’erbicida, tra i più diffusi a livelli mondiale, la cui produzione sfiora il milione di tonnellate/anno, è accusato di favorire l’insorgenza dei tumori. L’Agenzia di ricerca sul cancro dell’OMS (IARC) lo ha classificato come probabile cancerogeno, mentre l’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza degli alimenti, sostiene che le prove non sarebbero ancora sufficienti per dichiararne con sicurezza la cancerogenicità. È per questa insostenibile situazione di incertezza e di probabile pericolo per la salute pubblica che ci siamo sentiti in dovere di investire i fondi raccolti attraverso le attività dei Soci della Cooperativa Sociale Onlus Istituto Ramazzini in una ricerca ben pianificata, capace di escludere fattori confondenti e quindi in grado di fornile dati solidi per una sicura quantificazione del rischio».
Ad oggi cosa sappiamo, su basi scientifiche, del glifosato?
«Sappiamo che l’esposizione a glifosato nell’uomo ha comportato l’aumento di linfomi, ma tale evidenza è risultata limitata a causa di numerosi fattori confondenti, peraltro tipici degli studi epidemiologici. Negli animali di laboratorio in due diversi studi è stato notato un aumento statisticamente significativo di due tipi abbastanza rari di tumore maligno, il tumore del rene e gli emangiosarcomi nei topi, ed un aumento di tumori benigni nei ratti. Inoltre, il glifosato si è mostrato genotossico e capace di stress ossidativo in diversi studi meccanicistici».
Il rinvio della discussione del pesticida da parte dell'Unione Europea come va letto? Si parla di principio di precauzione in questi casi?
«Non credo si tratti di principio di precauzione, ma solo di prendere tempo per negoziare con le parti interessate, probabilmente l’industria, le misure da adottare per arrivare ad una soluzione definitiva. Io mi aspetto un rinnovo per qualche anno (4-5 anni) e auspico che nel frattempo si provveda a far partire una ricerca sperimentale capace di fornire una base solida per un robusto risk assessment; un giudizio solido sarà capace di toglierci dall’attuale stallo, fornirà garanzie ai cittadini e riporterà fra loro la fiducia nelle istituzioni, perché certo questa diatriba non è stato un bell’esempio di coerenza e di servizio alla salute, e non può che far male alla società».
Quali precedenti studi, da voi condotti, su altri pesticidi ed erbicidi hanno evidenziato la tossicità o cancerogenità di tali prodotti in uso?
«La nostra attività è iniziata negli anni ‘70, abbiamo studiato più di 200 agenti chimici e fisici, con più di 500 saggi sperimentali. I nostri dati sono stati utilizzati per la valutazione del rischio di molte plastiche (PVC, stirene, acrilonitrile, ecc) e solventi (trielina, cloroformio, xilene, toluene, ecc.), pesticidi (fra i quali il mancozeb, uno dei più usati in agricoltura) del benzene, della formaldeide, ecc. I nostri sono studi sono indipendenti e spesso "scomodi". Per questa ragione spesso non ci viene riconosciuto il merito di rappresentare il secondo laboratorio di riferimento al mondo per la cancerogenesi ambientale, dopo quello americano del National Toxicology Program».
In Italia quali sono i livelli di guardia e le restrizioni imposte dalle autorità competenti in materia di uso di pesticidi?
«Dipende dal tipo di pesticidi, e comunque per molti di loro è oggi riconosciuta la peculiarità di interferire con i sistema endocrino dell’uomo e della donna, causando patologie anche gravi riguardanti la fertilità, lo sviluppo, il metabolismo e il sistema nervoso. Tutto questo ha implicazioni gravi in termini di salute pubblica e non può essere controllato attraverso l’abbassamento dei limiti ammessi, perché le dosi attive possono essere migliaia di volte più basse di quelle ammesse. Anche per il glifosato si sospetta un’attività di interferenza endocrina e il nostro studio investigherà anche questo aspetto».
Torniamo al glifosato: ci sono soggetti più esposti di altri, in linea teorica?
«I più esposti sono gli operatori agricoli, ma il glifosato, anche se ha una emivita abbastanza breve, può sciogliersi nell’acqua, e quindi migrare nelle coltivazioni di ogni tipo. Inoltre non va sottovalutata l’esposizione a causa dell’abitudine ormai consolidata in agricoltura di trattare il grano e altre granaglie in genere per farle disseccare ed evitare la presenza di umidità e la formazione di muffe dannose alla salute. In questo modo però il residuo di glifosato nel grano è notevole e lo ritroviamo negli alimenti quali pasta, pane, ecc.».
Frattanto, il commissario responsabile Vytenis Andriukaitis, competente per la salute e sicurezza alimentare, ha dichiarato che si terrà in contatto con i governi degli Stati membri per valutare eventuali soluzioni di compromesso: si è detto pronto a valutare, quantomeno, la riduzione del periodo di ri-autorizzazione del glifosato nei pesticidi a 8-10 anni (e non 15 come proposto dalla Commissione), nonché di voler studiare una lista di coadiuvanti e coformulanti da mettere al bando, ossia quelle sostanze fitosanitarie che si trovano nei pesticidi.
Staremo a vedere: nel frattempo l'auspicio è che si possa giungere, attraverso studi scientifici di assoluta rilevanza, ad un verdetto definitivo sul glifosato. Per il bene di tutti.
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Andrea Cuscona è giornalista pubblicista dal 2005, catanese, classe '82, laureato in Culture e linguaggi per la comunicazione. “È impossibile non comunicare”. Da questo innato meccanismo parte la sua propensione al giornalismo e alla scrittura, declinati attraverso varie esperienze su carta stampata, TV, radio e web. Si considera uno spirito libero, è impegnato in cause sociali e coltiva diverse passioni.